lunedì 6 dicembre 2010

L'ancora ed il delfino: omaggio ad Aldo Manuzio



Se leggiamo nei testi di storia della letteratura italiana, troveremo raccontata la vita e l’opera di molti ‘umanisti’ del ‘400 o del ‘500, uomini che hanno contribuito con il loro amore verso la cultura a riscoprire e riportare alla luce dopo secoli il grande patrimonio culturale della civiltà greco-latina.
Ma, se si parla di Aldo Manuzio, allora si tratta di un umanista ‘speciale’, un uomo che ha saputo abbinare le doti di uomo dotto con quelle dell’imprenditore. La sua ambizione principale era quella di preservare la letteratura e la filosofia greca da ulteriore oblio, nonché il grande patrimonio della letteratura latina, diffondendone i capolavori in edizioni stampate. Egli, dunque, non voleva limitarsi a fare il ‘ricercatore’ di opere antiche, ma darsi da fare per pubblicarne edizioni a stampa in modo moderno. Come sede più idonea per la sua tipografia, attorno al 1490, aveva scelto Venezia, la Serenissima, nel momento del suo massimo fulgore, dove i manoscritti e codici greci della Biblioteca Marciana (istituita con il lascito da parte del Cardinale Bessarione dell'intera sua collezione di libri), proprio in quel periodo, stavano rendendo la città lagunare il centro più importante per lo studio dei classici.
Del resto, in quegli stessi anni, molti stampatori tedeschi impiantarono le loro tipografie nella vivace città lagunare, incoraggiati in ciò dalla lungimirante politica delle autorità: possiamo citare Johann e Wendelin von Speyer, Johann von Köln, Nicolaus Jenson, Erhard Ratdolt (considerato l’inventore del frontespizio), e così via.
 Lì allacciò rapporti di collaborazione e di amicizia con letterati ed artisti del tempo e con molti studiosi greci che erano fuggiti da Bisanzio dopo la caduta dell'Impero Romano d'Oriente (1453). Nel 1502 fondò l’Accademia Aldina, dedicata agli studi classici, cui aderirono illustri intellettuali del tempo, come Pietro Bembo. Una curiosità: i suoi membri si impegnavano a parlare fra di loro soltanto in greco, e a versare una piccola multa, in caso di trasgressioni o errori, a un fondo comune che sarebbe poi servito a festosi banchetti.
Nel 1494 aprì la tipografia nella contrada di Sant'Agostin; il suo simbolo era l’ancora con il delfino: l’una indicava la solidità, l’altro la velocità. Nell’espletare la sua attività, sembra che Aldo sia stato più attento alla diffusione della lingua e della cultura greca, che al profitto economico: le sue edizioni in greco erano di altissima qualità, anche perché egli si serviva di greci come correttori di bozze, ricercatori di manoscritti e calligrafi, sui cui modelli ricalcò i suoi caratteri. Qualche esempio? L'opera di Aristotele in 5 volumi, pubblicata fra il 1495 ed 1498. Ma nel 1501 Manuzio pubblicò un’edizione di Virgilio che conteneva due novità clamorose: l’uso del carattere corsivo, disegnato dal bolognese Griffo, che divenne poi così celebre da essere imitato da tutti, e l’edizione ‘in ottavo’, formato molto più leggero e maneggevole del ‘folio’, allora usato per i testi di un certo pregio.
Meritano, inoltre di essere ricordate le sue raffinate edizioni della Divina Commedia, in particolare quella del 1515, la prima edizione a stampa illustrata dell’opera dantesca in assoluto!
Aldo morì il 6 febbraio 1515, dopo aver stampato più di un centinaio di edizioni, in greco, in latino e in volgare, fra le quali non solo i grandi classici, da Aristotele a Tucidide, da Erodoto a Cicerone, da Sofocle a Luciano, a Catullo, a Virgilio, a Ovidio, a Omero, ma anche opere di contemporanei, quali Erasmo, Angelo Poliziano o Pietro Bembo.
La genialità di questo personaggio ha fatto si che la sua opera e le sue intuizioni sopravivessero alla sua morte.
Qualche esempio?
Chiunque oggi abbia usato un qualunque word processor al computer avrà notato varie volte che l’icona recante il comando di formattazione in carattere corsivo, nelle versioni del software in lingua inglese, contiene una I : essa è la lettera iniziale di  italic; anche questo è un omaggio all’inventore italiano di tale carattere.
Un altro esempio?
Nella seconda metà degli anni ’80 ebbe grande successo un software (di nome Pagemaker) allora rivoluzionario, perché consentiva per la prima volta, su piattaforma Macintosh (in quegli anni la piattaforma Windows semplicemente non esisteva… ), la realizzazione interamente in formato digitale di lunghi testi a stampa (riviste o libri) attraverso un linguaggio descrittivo della pagina chiamato Postscript, purché il computer fosse collegato ad una stampante laser in grado d’interpretare questo linguaggio; nasceva così la moderna editoria elettronica. Ebbene, la software house che realizzò questo programma pionieristico si chiamava Aldus Corporation, in omaggio al celebre umanista e stampatore italiano.
Ancora qualche esempio?
Esiste oggi un progetto, portato avanti da volontari, finalizzato alla conversione in formato digitale (soprattutto PDF), per la libera fruizione su computer , su lettori di e-book o su tablet, di tutte le opere della letteratura italiana non più coperte dal diritto d’autore: esso prende, appunto, il nome di Progetto Manuzio (ma guarda un po’!).
Che dire altro? Possiamo solo ricordare il motto di Manuzio: festina lente, cioè ‘affrettati con calma’. Esso ci ricorda che dobbiamo darci da fare, ma che la fretta non è amica delle cose fatte in modo ottimale. E questo non vale solo per i libri! 

Ferdinando G. Rotolo (dicembre 2010)

giovedì 25 novembre 2010

I computer sono analfabeti?

   Forse oggi, quando scriviamo una lettera o quando leggiamo un quotidiano, non ci rendiamo in pieno conto di quanto sia stata straordinaria l’invenzione dell’alfabeto, compiuta dai Fenici più di due millenni or sono. Come sarebbe la nostra vita, se oggi fossimo ancora costretti a comunicare con astrusi segni geroglifici, come facevano gli antichi egizi? Questi ultimi, infatti, erano costretti ad imparare migliaia di segni, alcuni dei quali rappresentavano concetti, altri degli oggetti; quasi non bastava un’intera vita per conoscere tutti i segni disponibili e, per tale motivo, gli scribi, che possedevano queste conoscenze, costituivano una casta molto potente nell’antico Egitto. In seguito i Fenici ebbero la geniale idea di usare dei segni che rappresentassero suoni, così, combinando un numero limitato di lettere, sarebbe stato possibile comporre un numero potenzialmente infinito di parole.
   Così nacque l’alfabeto, anzi gli alfabeti, perché dopo quello fenicio, nacquero quello greco (modellato su quello fenicio, cui i greci aggiunsero le vocali, che i fenici non scrivevano), quello latino, e così via. Oggi esistono tanti alfabeti nel mondo, ma l’idea di fondo rimane intatta, anche se esiste qualche problema, quando si tratta di trascrivere una parola da un alfabeto ad un altro.
Anche i computer conoscono l’alfabeto? In realtà, il computer identifica le lettere dell’alfabeto associando a ciascuna di esse un numero. Negli anni passati veniva utilizzato dai PC un sistema di codifica dei caratteri chiamato ASCII, che funzionava a 8 bit e dunque era in grado di riconoscere fino a 2 (elevato 8) caratteri, cioè 256; in verità, non tutti i computer riuscivano ad usare tutti i caratteri disponibili, ma la maggior parte di essi riconoscevano fino a 27 caratteri (128) e occorrevano tastiere particolari dotate di un apposito tasto speciale per attivare anche l’ultimo bit del set ASCII (come le leggendarie tastiere dei computer lisp, usate a Stanford negli anni ottanta). Ma il sistema ASCII, che associava ad ogni segno un numero, funzionava perfettamente solo per l’alfabeto latino, mentre altri alfabeti adoperavano set di codifica differenti. Dunque, quando si doveva trasmettere qualche dato da un terminale situato in Gran Bretagna che usava il codice ASCII ad un altro terminale situato in Grecia, dove veniva usato un sistema di codifica differente per un alfabeto diverso, il rischio di perdita di informazioni era notevole.
   Così, negli ultimi anni è stato sviluppato un nuovo sistema di codifica più ‘universale’, che prende il nome di Unicode. Anch’esso associa un numero ad ogni segno, ma nella versione standard funziona a 16 bit, dunque permette di codificare fino a 2 (elevato 16) caratteri diversi, cioè ben 65535!. Nella memoria del calcolatore ogni numero viene codificato in formato esadecimale e ad esso viene associata una lettera di ogni alfabeto. In tal modo è possibile usare un unico sistema di codifica dei caratteri che possa comprendere l’alfabeto latino, quello greco, quello cirillico (che usano la scrittura da sinistra verso destra) quello ebraico, quello arabo (che usano la scrittura da destra verso sinistra), e così via, senza alcun rischio di perdita d’informazioni nella comunicazione tra computer che usano alfabeti diversi.
   Ma è possibile per l’utente ricavare il numero Unicode con cui è identificata una determinata lettera dell’alfabeto? Certo, utilizzando uno script formulato in un linguaggio di programmazione. Come esempio, potremmo usare il linguaggio javascript per comporre un piccolo programmino che consenta, data una stringa di testo, di estrarre il codice Unicode di una determinata lettera contenuta nella stringa stessa. A tale scopo creeremo un form contenente due campi di testo: uno per inserire la stringa di testo ed uno per visualizzare il codice unicode ricavato.


   La funzione che ci viene in aiuto è string.charCodeAt(), che consente, data una stringa di testo, di estrarre il valore Unicode della lettera che si trova nella posizione indicata tra parentesi. Così, se la stringa fosse la parola latina historia, la istruzione stringa.charCodeAt(0) estrarrebbe il codice Unicode della lettera collocata in posizione 0 cioè ‘h’.
Ecco il codice della funzione, che viene attivata dal pulsante estrai:

function estrai_cod(){
var stringa= unicode.stringa.value;
var cod= stringa.charCodeAt(0);
unicode.codice.value=cod;

   In sostanza, la funzione definisce come variabile il valore del campo di testo stringa contenuto nel form chiamato unicode, poi estrae dalla parola contenuta nel campo di testo il valore unicode corrispondente alla lettera in posizione 0 (quella iniziale), quindi inserisce il valore nel campo di testo denominato codice contenuto nello stesso form. Ecco il risultato, visualizzato nel browser Safari:



   Così, ciccando sul pulsante estrai, veniamo a sapere che la lettera ‘h’ minuscola, con la quale i latini rendevano nella loro lingua i suoni aspirati che essi trovavano nelle parole di origine greca (nel nostro esempio la parola historía (in traslitterazione latina), che iniziava con lo spirito aspro) ha in Unicode ha il valore (in decimale) di 104. Ricordiamoci, quindi, che non è esatto dire a qualcuno che “non vale un’acca”, pensando che tale lettera non valga nulla; infatti essa non vale 0… bensì 104!
   Dunque, non è esatto chiedersi se il computer riconosca o meno le lettere dell’alfabeto: per lui si tratta solo di una serie codificata di numeri da associare a lettere; semmai, quando si parla di calcolatori, bisogna preoccuparsi che non siano analfabeti (in vari sensi…) coloro che li usano!


Ferdinando G. Rotolo (novembre 2010)

mercoledì 24 novembre 2010

Semiotica dei calendari 'illustrati'

    Puntuali come le scadenze fiscali, ecco arrivare a fine anno nelle nostre edicole pletore di calendari per l'anno che verrà; ma non si tratta dei calendari 'vecchio stile' di una volta (ad es. 'Frate Indovino'), almanacchi nei quali erano distillate gemme di saggezza popolare da utilizzare per tutto l'anno seguente, bensì di calendari moderni, nei quali lo scorrere dei mesi serve solo da pretesto per mostrare le disinvolte nudità di modelle o attrici famose, da centellinare con attenzione per ogni mese dell'anno.
    A parte l'ironia, il fenomeno è in espansione talmente vistosa, che vale la pena soffermarsi un attimo su di esso e tentare di ragionarci sopra in modo serio. Innanzitutto, è evidente che, se l'industria editoriale investe così tanto in un prodotto simile, ciò significa che vi è una nutrita richiesta del mercato. Le protagoniste di questi calendari richiedono sovente fior di quattrini agli editori per essere disposte a farsi immortalare 'senza veli' e, ovviamente, nessun editore, in tempi difficili dal punto di vista economico, affronterebbe spese di una certa rilevanza, se non fosse sicuro di ricavarne dei vantaggi, in termini di popolarità o di vendite. Ma quali riflessioni 'culturali' possono essere a noi suggerite da tale fenomeno? Secondo il semiologo R. Scholes anche il corpo può essere considerato come un 'testo' e dunque sottoposto a 'letture' di tipo culturale (e quindi sociale); in particolare, il corpo femminile nella letteratura di ogni tempo è stato oggetto di rappresentazioni che risentivano di fattori e condizionamenti di tipo socioculturale, dato che la donna nella letteratura è stata sempre materia di attenzione peculiare, e vista, secondo le epoche, ora come essere angelico, ora come essere perverso; così, la candida e ritrosa Laura di Petrarca è differente, ad esempio, dalla disinibita Lady Chatterley di Lawrence.
    Nulla di strano, dunque se anche il corpo (specie quello femminile) sia stato veicolo per la trasmissione di messaggi. Secondo la teoria linguistica di R. Jakobson, perché avvenga una comunicazione, sono necessari alcuni elementi: un emittente (colui che invia il messaggio), un ricevente (colui che lo riceve), un canale (il mezzo di trasmissione), un messaggio (il contenuto della comunicazione), un codice (il sistema di segni attraverso cui il messaggio si trasmette), un referente (l'oggetto reale a cui il messaggio fa riferimento); se manca uno di essi, la comunicazione non è possibile. Ora, nell'arte del passato il corpo veniva rappresentato come veicolo di un messaggio più complesso. Nella scultura greca il corpo umano nudo veniva idealizzato in forme perfette, simbolo della ricerca di una bellezza fuori dal tempo (e quindi immortale) a cui l'uomo greco aspirava: gli abiti, che rappresentavano il contingente, la storia (e quindi il transitorio) venivano eliminati, proprio perché immersi in un tempo concreto e reale, in cui la bellezza è destinata a perire, prima o poi. Nelle sculture di Prassitele o di Fidia il corpo umano costituiva il veicolo di un messaggio che, attraverso il codice della scultura, richiamava come referente l'idea della bellezza assoluta e dell'immortalità.
    Anche nella fotografia, in passato, il corpo è stato veicolo di messaggi complessi. Qualcuno ricorderà come negli anni '70 avvessero suscitato clamore le foto in b/n in cui la cantante 'ribelle' Patti Smith si faceva ritrarre nuda in uno scenario di interni alquanto grigio e uggioso. In quel caso, in pieno clima di emancipazione femminile, il corpo nudo della Smith rappresentava un segno che veicolava un messaggio anticonformista di liberazione dai costumi tradizionali, ed aveva come referente le lotte per l'emancipazione femminile, grazie alle quali le donne intendevano divenire libere artefici della propria sessualità, per secoli costruita a misura di un mondo dominato dal maschio. Così, quelle foto costituivano l'equivalente iconico di un fenomeno sociale che, negli stessi anni e per altre vie, la scrittrice americana Susan Sontag descriveva brillantemente nei suoi saggi di costume. Anche in quel caso, dunque, il corpo era mezzo per trasmettere un messaggio culturale (condivisibile o meno) carico di riflessi sociali.
    Ebbene, nei moderni calendari che abbondano nelle nostre odierne edicole non vi è nulla di tutto ciò. Vi sono alcuni elementi della comunicazione: l'emittente (l'editore), un ricevente (il lettore), il canale (le stampe fotografiche), il codice (le immagini); tuttavia manca un vero referente esterno e manca un messaggio. I corpi nudi ritratti nei calendari non veicolano proprio nulla, ma sono autoreferenziali, fanno riferimento a sé stessi ed esauriscono in se stessi il loro scopo. Le modelle 'offrono' sul mercato un loro 'sé' corporeo virtuale e i lettori comprano quel 'sé': tutto qui. Abbiamo a che fare con prodotti commerciali esattamente paragonabili ad un CD, ad una saponetta, ad una merendina, con la differenza che, in questo caso, le conseguenze sociali sono più rilevanti. Il lettore X che compra il calendario di un'attrice celebre si illude di portare a casa anche il corpo di quell'attrice, osservandola in un modo che, nella vita reale, non gli sarebbe mai possibile: magari potrà sognare di essere il suo fidanzato bello e invidiato e di possederla anche fisicamente. Come nella logica del carnevale plautino i servi possono anche diventare per un giorno padroni e guidare un mondo alla rovescia, così il signor X può sognare per un attimo di essere il boy friend di una donna ricca, bella e famosa; sennonché, finito il carnevale, tutto ritorna sempre come prima: i principi ritornano principi ed i servi ritornano servi; e il signor X, prima o poi, ritorna alle sue frustrazioni quotidiane: la moglie chiacchierona, le tasse, il condominio, il capufficio tiranno, e così via. E allora appare fondato il sospetto che dietro tutta l'operazione editoriale ci sia una sottile mistificazione.
    Qualcuno potrebbe obiettare che, comunque, questi calendari hanno un significato 'di costume', in quanto rappresenterebbero una forma di trasgressione rispetto ai costumi tradizionali: forse, ma si tratta di una trasgressione finta. Come sottolinea il celebre personaggio di Jorge nel terzultimo capitolo del romanzo Il nome della rosa, il Potere non ha mai temuto le trasgressioni che coinvolgono gli istinti elementari delle masse, anzi le ha incoraggiate, perché ha visto astutamente in esse una valvola di sfogo utile a tenere buoni i 'semplici', condannati alla sconfitta sul teatro della storia dalla loro stessa ignoranza; mentre esso ha sempre combattuto le trasgressioni che stuzzicano l'intelletto, perché spingono a pensare e possono rendere le masse consapevoli di cose di cui il Potere preferirebbe non sapessero nulla. Così, nell'antica Atene l'etera Frine fu assolta dall'accusa di empietà, mentre il buon Socrate fu condannato per la stessa colpa: ma la bella donna, che ostentava la sua bellezza senza troppi pudori (pare sia stata anche modella per la Venere di Cnido di Prassitele), e per la cui difesa si scomodò un oratore illustre come Iperìde, dava meno fastidio al Potere del famoso filosofo, che poneva domande scomode ai giovani su politica ed etica.
    La realtà è che la trasgressione, quella vera, quella capace di mettere in discussione le verità preconfezionate, può scaturire solo dalle scintille dell'intelligenza e della cultura: le si può trovare in un buon libro, in una commedia brillante o in un film d'autore; ben difficilmente nelle pagine patinate di questi calendari, che (è il caso di dirlo) non hanno nulla 'da nascondere', ma neanche nulla da dire.

Ferdinando G. Rotolo (novembre 2010)