venerdì 16 dicembre 2011

Racconto di Natale (L. Tolstoj)

In una certa città viveva un ciabattino, di nome Martin Avdeic. Lavorava in una stanzetta in un seminterrato, con una finestra che guardava sulla strada. Da questa poteva vedere soltanto i piedi delle persone che passavano, ma ne riconosceva molte dalle scarpe, che aveva riparato lui stesso. Aveva sempre molto da fare, perché lavorava bene, usava materiali di buona qualità e per di più non si faceva pagare troppo.
Anni prima, gli erano morti la moglie e i figli e Martin si era disperato al punto di rimproverare Dio. Poi un giorno, un vecchio del suo villaggio natale, che era diventato un pellegrino e aveva fama di santo, andò a trovarlo. E Martin gli aprì il suo cuore.
- Non ho più desiderio di vivere - gli confessò. - Non ho più speranza.
Il vegliardo rispose: « La tua disperazione è dovuta al fatto che vuoi vivere solo per la tua felicità. Leggi il Vangelo e saprai come il Signore vorrebbe che tu vivessi.
Martin si comprò una Bibbia. In un primo tempo aveva deciso di leggerla soltanto nei giorni di festa ma, una volta cominciata la lettura, se ne sentì talmente rincuorato che la lesse ogni giorno.
E cosi accadde che una sera, nel Vangelo di Luca, Martin arrivò al brano in cui un ricco fariseo invitò il Signore in casa sua. Una donna, che pure era una peccatrice, venne a ungere i piedi del Signore e a lavarli con le sue lacrime. Il Signore disse al fariseo: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e non mi hai dato acqua per i piedi. Questa invece con le lacrime ha lavato i miei piedi e con i suoi capelli li ha asciugati... Non hai unto con olio il mio capo, questa invece, con unguento profumato ha unto i miei piedi.
Martin rifletté. Doveva essere come me quel fariseo. Se il Signore venisse da me, dovrei comportarmi cosi? Poi posò il capo sulle braccia e si addormentò.
All'improvviso udì una voce e si svegliò di soprassalto. Non c'era nessuno. Ma senti distintamente queste parole: - Martin! Guarda fuori in strada domani, perché io verrò.
L'indomani mattina Martin si alzò prima dell'alba, accese il fuoco e preparò la zuppa di cavoli e la farinata di avena. Poi si mise il grembiule e si sedette a lavorare accanto alla finestra. Ma ripensava alla voce udita la notte precedente e così, più che lavorare, continuava a guardare in strada. Ogni volta che vedeva passare qualcuno con scarpe che non conosceva, sollevava lo sguardo per vedergli il viso. Passò un facchino, poi un acquaiolo. E poi un vecchio di nome Stepanic, che lavorava per un commerciante del quartiere, cominciò a spalare la neve davanti alla finestra di Martin che lo vide e continuò il suo lavoro.
Dopo aver dato una dozzina di punti, guardò fuori di nuovo. Stepanic aveva appoggiato la pala al muro e stava o riposando o tentando di riscaldarsi. Martin usci sulla soglia e gli fece un cenno. - Entra· disse - vieni a scaldarti. Devi avere un gran freddo.
- Che Dio ti benedica!-  rispose Stepanic. Entrò, scuotendosi di dosso la neve e si strofinò ben bene le scarpe al punto che barcollò e per poco non cadde.
- Non è niente - gli disse Martin. - Siediti e prendi un po' di tè.
Riempi due boccali e ne porse uno all'ospite. Stepanic bevve d'un fiato. Era chiaro che ne avrebbe gradito un altro po'. Martin gli riempi di nuovo il bicchiere. Mentre bevevano, Martin continuava a guardar fuori della finestra.
- Stai aspettando qualcuno? - gli chiese il visitatore.
- Ieri sera-  rispose Martin - stavo leggendo di quando Cristo andò in casa di un fariseo che non lo accolse coi dovuti onori. Supponi che mi succeda qualcosa di simile. Cosa non farei per accoglierlo! Poi, mentre sonnecchiavo, ho udito qualcuno mormorare: "Guarda in strada domani, perché io verrò".
Mentre Stepanic ascoltava, le lacrime gli rigavano le guance. - Grazie, Martin Avdeic. Mi hai dato conforto per l'anima e per il corpo.
Stepanic se ne andò e Martin si sedette a cucire uno stivale. Mentre guardava fuori della finestra, una donna con scarpe da contadina passò di lì e si fermò accanto al muro. Martin vide che era vestita miseramente e aveva un bambino fra le braccia. Volgendo la schiena al vento, tentava di riparare il piccolo coi propri indumenti, pur avendo indosso solo una logora veste estiva. Martin uscì e la invitò a entrare. Una volta in casa, le offrì un po' di pane e della zuppa. - Mangia, mia cara, e riscaldati -  le disse.
Mangiando, la donna gli disse chi era: -  Sono la moglie di un soldato. Hanno mandato mio marito lontano otto mesi fa e non ne ho saputo più nulla. Non sono riuscita a trovare lavoro e ho dovuto vendere tutto quel che avevo per mangiare. Ieri ho portato al monte dei pegni il mio ultimo scialle.
Martin andò a prendere un vecchio mantello. - Ecco - disse. -  È un po' liso ma basterà per avvolgere il piccolo.
La donna, prendendolo, scoppiò in lacrime. - Che il Signore ti benedica.
-  Prendi - disse Martin porgendole del denaro per disimpegnare lo scialle. Poi l’accompagnò alla porta.
Martin tornò a sedersi e a lavorare. Ogni volta che un'ombra cadeva sulla finestra, sollevava lo sguardo per vedere chi passava. Dopo un po', vide una donna che vendeva mete da un paniere. Sulla schiena portava un sacco pesante che voleva spostare da una spalla all'altra. Mentre posava il paniere su un paracarro, un ragazzo con un berretto sdrucito passò di corsa, prese una mela e cercò di svignarsela. Ma la vecchia lo afferrò per i capelli. Il ragazzo si mise a strillare e la donna a sgridarlo aspramente.
Martin corse fuori. La donna minacciava di portare il ragazzo alla polizia. - Lascialo andare, nonnina - disse Martin. - Perdonalo, per amor di Cristo.
La vecchia lasciò il ragazzo. - Chiedi perdono alla nonnina - gli ingiunse allora Martin.
Il ragazzo si mise a piangere e a scusarsi. Martin prese una mela dal paniere e la diede al ragazzo dicendo: - Te la pagherò io, nonnina.
- Questo mascalzoncello meriterebbe di essere frustato - disse la vecchia.
- Oh, nonnina - fece Martin - se lui dovesse essere frustato per aver rubato una mela, cosa si dovrebbe fare a noi per tutti i nostri peccati? Dio ci comanda di perdonare, altrimenti non saremo perdonati. E dobbiamo perdonare soprattutto a un giovane sconsiderato.
- Sarà anche vero - disse la vecchia - ma stanno diventando terribilmente viziati.
Mentre stava per rimettersi il sacco sulla schiena, il ragazzo sì fece avanti. - Lascia che te lo porti io, nonna. Faccio la tua stessa strada.
La donna allora mise il sacco sulle spalle del ragazzo e si allontanarono insieme.
Martin tornò a lavorare. Ma si era fatto buio e non riusciva più a infilare l'ago nei buchi del cuoio. Raccolse i suoi arnesi, spazzò via i ritagli di pelle dal pavimento e posò una lampada sul tavolo. Poi prese la Bibbia dallo scaffale.
Voleva aprire il libro alla pagina che aveva segnato, ma si apri invece in un altro punto. Poi, udendo dei passi, Martin si voltò. Una voce gli sussurrò all'orecchio: - Martin, non mi riconosci?
- Chi sei? - chiese Martin.
- Sono io - disse la voce. E da un angolo buio della stanza uscì Stepanic, che sorrise e poi svanì come una nuvola.
- Sono io - disse di nuovo la voce. E apparve la donna col bambino in braccio. Sorrise. Anche il piccolo rise. Poi scomparvero.
- Sono io - ancora una volta la voce. La vecchia e il ragazzo con la mela apparvero a loro volta, sorrisero e poi svanirono.
Martin si sentiva leggero e felice. Prese a leggere il Vangelo là dove si era aperto il libro. In cima alla pagina lesse: Ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi dissetaste, fui forestiero e mi accoglieste. In fondo alla pagina lesse: Quanto avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, l’avete fatto a me.
Così Martin comprese che il Salvatore era davvero venuto da lui quel giorno e che lui aveva saputo accoglierlo.

Ferdinando G. Rotolo (Dicembre 2011)

sabato 8 ottobre 2011

Grazie, Steve!

 1)    Perché grazie a te, il computer sin dalla fine degli anni ’70, quando inventasti l’Apple II, non è più un oggetto esoterico per pochi smanettoni, ma un utile strumento personale, appunto, per lavorare, giocare, divertirsi, ascoltare musica, e così via!
 2) Perché, quando inventasti il Macintosh nel 1984, il mondo per la prima volta scoprì concetti come interfaccia a finestre, desktop, cestino, cartelle ed icone, grafica, video, quando ancora il cosiddetto Windows semplicemente NON esisteva!
3)    Perché, proprio il fatto che il buon Bill Gates, che infatti produsse Word 1.0 per Mac dopo pochi mesi dall'uscita del Macintosh, abbia copiato con successo la tua idea negli anni successivi dimostra che TU avevi ragione!
4)    Perché non ci sentivamo soli, quando, da utenti Mac minoritari e guardati dai windowsiani con assoluto disprezzo, osavamo chiedere nei negozi di acquistare software per Mac, sfidando le risatine idiote di chi, ignorando l'esistenza di qualunque altra cosa che non fosse Windows, si chiedeva come mai non usassimo quel sistema operativo, dato che ‘lo usavano tutti’!
5)    Perché, nonostante dei manager invidiosi del tuo talento ti avessero cacciato dall’azienda che TU avevi fondato insieme a Wozniak, non ti sei smarrito, ma ti sei rimboccato le maniche ed hai fondato una cosuccia come la Pixar, che ha rivoluzionato il cinema d’animazione!
6)    Perché nel 1997, non sopportando che la tua creatura-azienda finisse nella polvere per colpa di manager inetti come Splidler, Sculley, Amelio e roba simile, sei ritornato per aprire nuovi orizzonti e da quel momento hai iniziato a sfornare prodotti straordinari, che hanno fatto  finalmente conoscere la Apple anche chi non ne aveva mai sentito parlare: Mac sempre più potenti, funzionali ed eleganti, un sistema operativo d'avanguardia come Mac OS X, l’iPod, l’iPhone, l’iPad; prodotti rivoluzionari ed unici, che, infatti, gli altri hanno invano tentato d’imitare!
7)    Perché con la tua vita avventurosa e straordinaria hai dimostrato che bisogna credere nei propri sogni, anche quando ciò significa andare controcorrente, sfidando pregiudizi e luoghi comuni, che spesso sono solo figli dell’ignoranza!
8)    Perché, anche dinanzi a Sorella Morte, hai voluto coraggiosamente guardare in faccia la realtà, dimostrando che la dignità suprema dell’uomo, come affermava Leopardi, è proprio quella di affrontare l’Estremo Momento con lucida serenità, dato che la Morte è strettamente legata alla Vita!


A noi, membri a vario titolo della grande famiglia Apple, diversa da qualunque altra azienda informatica del pianeta, affidi oggi il compito di portare avanti le tue idee con coraggio e con coerenza, 'pensando diversamente', nella speranza che i tuoi successori sappiano raccogliere un’eredità così pesante, ma affascinante!

Addio per sempre Steve… e GRAZIE di tutto!

Ferdinando Giuseppe Rotolo, mac user dal 1995 (ottobre 2011)

giovedì 8 settembre 2011

Un omaggio al genio femminile

Rileggiamo insieme una delle poesie più belle del grandissimo poeta Eugenio Montale, quella dedicata alla sua compagna Drusilla Tanzi e composta dopo la  morte di lei. Montale, rimasto solo nel cammino della vita, ricorda qui una caratteristica della donna, la sua miopia,  'giocando' su questo elemento, per affermare che, in realtà, ella sapeva 'leggere' la realtà meglio di lui, che pure era un intellettuale coltissimo e famoso.
 La poesia è curatissima anche sotto il profilo formale, con l'anafora dellle parole ho sceso, l'ossimoro breve...lungo riferito al viaggio, la stessa efficace metafora dello scendere le scale che simboleggia il viaggio della vita che avvicina alla morte, la posizione prolettica di con te, per indicare la posizione di protagonista assoluta della donna amata.
Si tratta di un testo che mi ha sempre fatto emozionare, perché vibra di tutta l'umanità del poeta e parla di sentimenti veri e non artefatti, sia pure frammisti al consueto pessimismo del poeta ligure; tuttavia non mancano alcuni interrogativi: chi saranno mai coloro che credono che la realtà sia quella che si vede? E cosa aveva saputo 'vedere' la donna, che era sfuggito al poeta?

Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale

 Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
      e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
      Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
      Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
5    le coincidenze, le prenotazioni,
      le trappole, gli scorni di chi crede
      che la realtà sia quella che si vede.

      Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
      non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
10  Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
      le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
      erano le tue.




 Ferdinando G. Rotolo (settembre 2012)

mercoledì 7 settembre 2011

Si ricomincia!

Un carisssimo saluto a tutti! Eccoci di nuovo a discutere insieme sul nostro blog! Auguro a tutti di riprendere le solite attività (per quanto possibile...) con lo spirito giusto, quello costruttivo e propositivo, che ci aiuta a vivere meglio: cerchiamo di seguire con coraggio le nostre passioni, i nostri sogni, i nostri ideali, dedicandoci alle cose che veramente ci gratificano e lasciando meno spazio (per quanto possibile...) alle pratiche abitudinarie ed al grigio conformismo che, purtroppo, è dilagante!
Cerchiamo di sollevarci da terra, cioé di liberarci dal peso delle vili meschinità e delle volgarità consumistiche che corrodono il nostro animo e lo intristiscono!
Cerchiamo, senza rinchiuderci nel nostro superbo ego, di prestare più attenzione a chi ha bisogno di un sorriso,  di ascolto, di affetto.
Certo, non è una cosuccia da niente, richiede un certo sforzo, ma vale la pena tentare, no? Forse riusciremo a vivere giornate un poco più serene e a cambiare poco a poco la realtà che ci circonda, a partire - senza andar troppo lontano - da quella più vicina a noi (per quanto possibile...).
In bocca al lupo a tutti!

Ferdinando G. Rotolo (settembre 2011)

sabato 6 agosto 2011

Saluti prima delle vacanze

Cari amici, finalmente arrivano anche per me le sospirate ferie e (si spera) un poco di sole e mare. Vorrei ringraziarvi con affetto tutti per le letture e per i commenti che avete regalato al mio blog da quando è attivo, cioé dallo scorso novembre. Vi auguro di cuore di trascorrere vacanze serene e vi do appuntamento al mio ritorno, con nuovi articoli, nuove discussioni, nuovi progetti.
Per salutarvi, vi offro la lettura di una poesia 'particolare', scritta da una poetessa molto 'particolare'. La poesia ha un titolo che è tutto un programma e ci invita a vivere pienamente ogni attimo della nostra esistenza grazie alla forza straordinaria che l'amore, nonostante tutto, possiede ancora.
Chi sarà l'autrice?

Ama
Ama finche’ non ti fa male,
e se ti fa male,
proprio per questo sara’ meglio.
Perche’ lamentarsi?
Se accetti la sofferenza
e la offri a Dio, ti dara’ gioia.
La sofferenza
e’ un grande dono di Dio:
chi l’accoglie,
chi ama con tutto il cuore,
chi offre se stesso
ne conosce il valore.


Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe,
i capelli diventano bianchi,
i giorni si trasformano in anni.

Però ciò che é importante non cambia;
la tua forza e la tua convinzione non hanno età.
Il tuo spirito e` la colla di qualsiasi tela di ragno.

Dietro ogni linea di arrivo c'è una linea di partenza.
Dietro ogni successo c'è un`altra delusione.

Fino a quando sei viva, sentiti viva.
Se ti manca cio` che facevi, torna a farlo.
Non vivere di foto ingiallite…
insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni.

Non lasciare che si arruginisca il ferro che è in te.
Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto.

Quando a causa degli anni
non potrai correre, cammina veloce.
Quando non potrai camminare veloce, cammina.
Quando non potrai camminare, usa il bastone.
Però non trattenerti mai!


Beh, l'autrice è Madre Teresa di Calcutta.
Buone vacanze e... a presto!

Ferdinando G. Rotolo (agosto 2011)

mercoledì 3 agosto 2011

A morte devagar

Ecco il testo di una bella poesia della poetessa e giornalista brasiliana Martha Medeiros (nella foto), erroneamente attribuita al poeta cileno Pablo Neruda. Ho alternato il testo originale portoghese (non facile da reperire) con la traduzione italiana. Sono versi molto profondi. Buona lettura e buona riflessione!




Morre lentamente quem vira escravo do hábito, 
repetindo todos os dias o mesmo trajeto e as mesmas compras no supermercado.
Quem não troca de marca,
não arrisca vestir uma cor nova, 
não dá papo para quem não conhece.
 
Lentamente muore
chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno
gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Morre lentamente quem evita uma paixão, quem prefere o preto no branco e os pingos nos is a um turbilhão de emoções indomáveis,
justamente as que resgatam brilho nos olhos,
sorrisos e soluços,
coração aos tropeços, sentimentos.
 
Muore lentamente
chi evita una passione,
chi preferisce il nero sul bianco
e i puntini sulle "i" piuttosto che
un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso ,
quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

Morre lentamente quem não vira a mesa quando está infeliz no trabalho,
quem não arrisca o certo pelo incerto atrás de um sonho, 
quem não se permite, uma vez na vida, fugir dos conselhos sensatos.

Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro
chi non rischia la certezza per l'incertezza
per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli
sensati.

Morre lentamente quem não viaja, 
quem não lê, 
quem não ouve música, 
quem não acha graça de si mesmo.
 
Lentamente muore
chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.

Morre lentamente quem destrói seu amor-próprio. 
Pode ser depressão, que é doença séria e requer ajuda profissional. 
Então fenece a cada dia quem não se deixa ajudar.
Morre lentamente quem passa os dias queixando-se da má sorte 
ou da chuva incessante, desistindo de um projeto antes de iniciá-lo,
não perguntando sobre um assunto que desconhece 
e não respondendo quando lhe indagam o que sabe.
 

Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio
chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna
o della pioggia incessante.
abbandonando un progetto prima di iniziarlo,
non facendo domande sugli argomenti che non conosce,
e non rispondendo quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Já que não podemos evitar um final repentino, 
que ao menos evitemos a morte em suaves prestações, 
lembrando sempre que estar vivo 
exige um esforço bem maior do que simplesmente respirar.
 
Poiché non possiamo evitare una fine improvvisa,
evitiamo la morte a piccole dosi
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.

Ferdinando G. Rotolo (Agosto 2011)

domenica 10 luglio 2011

Colpo basso


 

 La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci.
Isaac Asimov

Lei era lì, distesa sul letto. Attraverso il velo delle sue lacrime riusciva a vedere il ghigno compiaciuto del Maschio che si dilettava nel guardarla. Il sole entrava a fatica nella stanza, pallido attraverso un manto di nubi che sembravano volerlo nascondere.
La Donna aveva perso la voce per il terrore e non riusciva ad emettere alcun suono dalla gola, se non un lamento sottile, simile a certe litanie funebri dei tempi antichi. La sua mente, però, cercava di mantenersi ancora vigile, in un estremo tentativo di difesa, rovistando nella memoria per capire ciò che era accaduto.
La Donna aveva iniziato a lavorare nella Villa da pochi mesi, dopo aver risposto ad un annuncio di offerta di lavoro; nonostante lavorasse già in alcune case come donna delle pulizie, essendo in condizioni economiche difficili, ella aveva ben volentieri accettato l’incarico da parte del ricco Maschio. Dopotutto, non si trattava di un’offerta cattiva: due giorni di lavoro a settimana, per tenere pulita ed in ordine la Villa sul mare che egli possedeva e che usava solo in estate, quando vi veniva in vacanza con gli amici. La paga era buona ed i versamenti avvenivano puntuali. Insomma, la Donna poteva ritenersi soddisfatta, anche perché il Maschio era stato molto gentile e cortese con lei, al punto che le aveva persino dato una copia delle chiavi del cancello e del portone secondario, sicché ella poteva entrare tranquillamente nella Villa, senza bisogno che ci fosse qualcuno ad attenderla.
La Donna era contenta di questo lavoro, grazie al quale sperava di poter meglio provvedere al sostentamento di sé e del suo piccolo Bimbo; infatti, da ragazza madre, aveva imparato subito a fare sacrifici, per mantenere quella creatura che aveva generato da sola, a dispetto del mondo, dopo che il suo compagno, venuto a sapere che era rimasta incinta, era coraggiosamente sparito dalla circolazione.
Ogni fatica delle sue braccia, ogni goccia di sudore che grondava dalla sua fronte erano un’offerta che lei donava al destino, in cambio di un futuro migliore per il suo adorato Bimbo; e questa offerta si univa a tutte le altre che ogni giorno, in tutti gli angoli della terra, altre madri in difficoltà presentano al destino invidioso, in cambio di un poco di felicità per i loro figli.
Allora brillarono per lei giorni felici, finché il cielo ostile non si rannuvolò nuovamente.
Fu una mattina di sabato. Il Maschio le aveva chiesto di recarsi alla Villa per delle pulizie straordinarie, in quanto la settimana seguente egli avrebbe voluto ospitare degli amici importanti nella sua residenza. La Donna aveva ubbidito.
Nel silenzio della casa, ella aveva iniziato a lavorare nel salone degli ospiti, completamente deserto. Poi era passata al piano superiore, per ordinare le camere da letto. Mentre si trovava nel corridoio, si trovò improvvisamente davanti il Maschio. Egli la guardò intensamente a lungo, senza dire una parola. Quindi la afferrò con le sue possenti braccia e la trascinò a forza in una delle camere. La Donna avrebbe voluto urlare, ma il terrore le aveva tolto la voce. Ella, avendo capito le intenzioni del Maschio, cercò più volte di svincolarsi dall’abbraccio del suo assalitore, ma fu tutto inutile.
In pochi attimi la Donna si ritrovò sul letto, completamente nuda, mentre il Maschio, in preda all’eccitazione, la osservava con attenzione vorace, quasi pregustasse nella sua mente il lauto banchetto di piacere cui, da ospite non invitato, avrebbe preso parte di lì a poco.
Nel silenzio irreale della Villa la tragedia stava per consumarsi. La Donna vide con orrore il Maschio avvicinarsi a lei, estrarre la sua Arma Virile e puntarla su di lei, mirando a colpire il suo fiore più delicato. Allora ella, quasi paralizzata dall’angoscia, chiuse gli occhi, come per non vedere quanto stava accadendo; sentì soltanto lo sparo dell’Arma dentro di sé, violento e superbo; sentì la ferita lancinante dell’anima; sentì la vergogna senza fine.
Allora, nel silenzio, le lacrime discesero copiose dai suoi occhi, come acque lustrali, necessarie a lavare l’oltraggio inopinatamente subito, a purificare un corpo odiosamente violato, a curare un animo brutalmente offeso.
Intanto il Maschio, rimessa nel fodero la sua potente Arma, scrutava compiaciuto la sua vittima, con occhi pieni di disprezzo e di orgogliosa superbia. Non diceva nulla con le parole, ma parlava chiaramente col suo sguardo.
“Non penserai mica di denunciarmi, miserabile sgualdrina? IO sono il Maschio, sono ricco e potente e ho molti amici; TU invece sei solo una stupida Donna, una servetta delle pulizie. Anche se, per caso, tu trovassi il coraggio di parlare, nessuno darebbe retta ad una pezzente come te!” – pensava tra sé il Maschio.
Come dargli torto? Chi avrebbe dato retta alla parola di una serva contro quella di un notabile come lui? Tutti avrebbero pensato che lei, dopo aver accettato consapevolmente un rapporto con lui, cercasse di ricattarlo per spillargli quattrini. Dopotutto, un Maschio con la sua posizione avrebbe potuto permettersi di avere ai suoi piedi donne ben più ricche e affascinanti: perché avrebbe avuto la necessità recare violenza ad un’oscura, insignificante, anonima serva?
Anche la Donna meditava su queste cose nel silenzio del suo dolore e sapeva bene anche lei quale sorte toccasse alle donne povere oggetto di ‘attenzioni’ da parte del Maschio ricco e potente. Sapeva bene che sarebbe stata costretta a tacere, pur di salvare dalla vergogna sé stessa ed il suo Bimbo.
Provando un sussulto di rispetto di sé, cercò almeno di coprirsi con un lenzuolo, ma il Maschio, dinanzi a questo gesto, prima accennò un sorriso sarcastico, poi afferrò con forza il misero schermo di pudicizia che la Donna aveva trovato per difendere il suo corpo e lo gettò immediatamente a terra; quindi la colpì più volte con  violenti schiaffi sul volto, come se volesse punirla per aver tentato di privarlo della vista eccitante di quel corpo indifeso, come se desiderasse umiliarla fino in fondo.
Allora davvero ella, agitandosi nel letto, cominciò a lamentarsi ed a piangere, emettendo gemiti sordi, trafitta da un dolore insopportabile, che si univa al dolore che per secoli altre Donne come lei avevano sofferto, a causa dell’arroganza del Maschio dominatore e cacciatore, cupido di affermare sul piano sociale quella supremazia sulla Donna che non aveva potuto avere in Natura.
Fu solo allora che il Maschio, dopo aver goduto pienamente della sua vittoria, lentamente si allontanò dalla camera, sempre in silenzio; la Donna sentì i suoi passi, mentre scendeva la scala e, arrivato giù, usciva dalla Villa, tranquillo e sicuro di sé, ottusamente fiero del nuovo trofeo da aggiungere alla galleria dei suoi trionfi virili, pronto a disfarsi dei repellenti panni di predatore e ad indossare di nuovo quelli, più rassicuranti, di tranquillo ed affettuoso marito.
Anch’ella, rialzatasi in piedi con enorme fatica, dopo aver indossato di nuovo i suoi vestiti, confusa e stordita per l’accaduto, uscì dalla Villa con passo incerto. Uscita di nuovo all’aperto, provò una sensazione strana, respirando l’aria fresca del mattino. Mentre, a bordo del bus, sola in mezzo ad una folla indifferente, si allontanava da quel luogo maledetto, rifletteva su cosa ora ella dovesse fare. Denunciare tutto alla Polizia? Abbandonare tutto e fuggire altrove?
Dopo qualche tempo, ancora frastornata, arrivò alla casa di sua madre, cui aveva affidato il Bimbo perché glielo accudisse, come faceva ogni volta che doveva recarsi al lavoro. Il Bimbo, non appena la vide, le corse incontro e la abbracciò. La Donna non riuscì a trattenere le lacrime per la commozione, ma quel pianto purificatore la riconciliò, almeno per un momento, con la vita e col mondo, che pure le avevano appena dato un saggio della loro crudeltà. I due rimasero stretti così per attimi che risultarono lunghissimi. In quel momento la Donna prese una decisione.
Non sarebbe più andata a lavorare in quella Villa: sentiva, infatti, che non avrebbe più avuto la forza di sopportare ulteriori violenze da quell’uomo; ma, al tempo stesso, ella non avrebbe sporto alcuna denuncia, per timore di dover affrontare altre umiliazioni, non fisiche ma morali, ogni volta che i suoi occhi avessero incrociato altri occhi dubbiosi, che spesso, pur senza parlare, esprimono il sordo disprezzo chi crede che una donna abbia comunque qualcosa da farsi perdonare.
Quanto era avvenuto sarebbe rimasto sepolto dentro il suo cuore, ella non ne avrebbe fatto parola con nessuno, per evitare di dover fornire troppe spiegazioni. Avrebbe masticato per qualche tempo dentro di sé l’amaro sapore del dolore e della rabbia, come altre Donne per secoli avevano fatto prima di lei. Poi ella, rinnovando ogni giorno l’offerta generosa ed ostinata di sé stessa sull’altare del futuro del suo Bimbo, avrebbe ripreso a lavorare come donna delle pulizie presso i suoi clienti abituali, come se nulla fosse accaduto. E forse, un giorno, la felicità conquistata da suo figlio l’avrebbe ripagata di tanta sofferenza.
La Donna uscì di nuovo per recarsi a casa, tenendo per mano il suo Bimbo, la cosa più bella che le era rimasta.
In quel momento, finalmente, il sole riuscì a squarciare le nubi.

Ferdinando G. Rotolo (luglio 2011)

mercoledì 29 giugno 2011

Editoria italiana ed autori esordienti

    Tutti sappiamo che in Italia si scrive (molto) e si legge (poco); data questa premessa, non è difficile capire perché gli editori siano così diffidenti nei confronti degli autori esordienti: si tratta di autori sconosciuti, per i quali nessuna casa editrice se la sente di assume rsi il (grosso) rischio di stampare tante copie che potrebbero restare ampiamente invendute sugli scaffali.
    In realtà, il problema maggiore sta nel fatto che gli editori sono una cosa, i distributori sono un'altra e non è detto che, ammesso che si sia trovato un editore tradizionale, magari piccolo, disposto a stampare un libro, questi sia poi in grado di distribuire realmente il libro nelle librerie. Insomma, nel passaggio dalla stampa alla distribuzione c'è qualcosa che non sempre funziona.
   Va comunque detto che l'evoluzione tecnologica offre oggi qualche opportunità in più agli scrittori esordienti e qualcosa, molto lentamente, si muove in Italia, sulla spinta di quanto succede nel mondo anglosassone con il fenomeno del cosiddetto print-on-demand o degli e-book; ne riparleremo in un prossimo post, esaminandone, per quanto possibile, i pro ed i contro.
   Per offrire ulteriori spunti di discussione ho inserito un video in cui Leo Sorge, un esperto di comunicazione digitale, spiega alcuni aspetti della questione che ai più sono, di solito, sconosciuti ed offre alcuni dati sulle vendite di libri in Italia che sono sorprendenti.



Ritorneremo, come detto, sull'argomento; intanto attendo i vostri commenti.

Ferdinando G. Rotolo (giugno 2011)

sabato 18 giugno 2011

Cinque film (italiani) da non dimenticare

Dopo qualche settimana di pausa, eccoci a completare l'elenco dei film italiani da salvare; come già detto prima, i gusti sono gusti e sarebbe bello sapere i vostri. Ecco le mie scelte:
Miseria e nobiltà di Mario Mattoli (1954)

Uno dei capolavori di Totò, tratto dall'opera di Scarpetta, nostalgico affresco di una Napoli sospesa tra sogno e realtà.

Il buono il brutto e il cattivo di Sergio Leone (1966)


Forse il 'vero' capolavoro di Leone: western epico sullo sfondo della guerra di secessione con punte di humour nero, sapientemente girato e montato; memorabile la scena finale del duello nel cimitero. Indimenticabili le musiche di Moricone.

Il Gattopardo di Luchino Visconti (1963)


Tratto dal romanzo di Tomasi di Lampedusa, un film di grande impatto; il racconto delle luci e soprattutto delle ombre del nostro risorgimento. Splendida Claudia Cardinale e grande Burt Lancaster. Famosa la scena del ballo.

Mediterraneo di Gabriele Salvatores (1991)


Il capolavoro di Salvatores, che dimostra come si possa fare un film ispirato alla commedia all'italiana e, al tempo stesso, carico di significati; potente il messaggio anti-bellicista che viene dal film, che è anche un invito alla ricerca di sé stessi. Grande Abbatantuono, stupenda l'ambientazione nelle isole dell'Egeo.

Cuore sacro di Ferzan Ozpetek (2005)


Ok, il regista è turco, ma ormai si può considerare italiano. Discusso film, che è  un viaggio misterioso attraverso la 'follia' dell'altruismo, dell'amore verso gli altri spinto fino alla rinuncia a tutto: una sorta di francescanesimo laico. Le critiche sono state discordi, ma a me il film è piaciuto. Intensa la Bobulova.

Ferdinando G. Rotolo (giugno 2011)

domenica 29 maggio 2011

Cinque film da non dimenticare

Cari amici lettori, proviamo a giocare (ma non troppo...). Supponiamo di dover scegliere 5 film di produzione estera da salvare dal naufragio per i posteri; ognuno ha, ovviamente, i suoi gusti (per fortuna...). Beh, io sceglierei questi che seguono, senza badare alla cronologia:

1) Chinatown di R. Polanski (1975)
Memorabile film con J. NIckolson e F. Dunaway: una storia d'amore, d'intrighi politici e un affresco di un'America rimasta nell'immaginario di tutti noi;

2) Gli Intoccabili di B. De Palma (1987)
Sontuoso film, ricco di citazioni: l'epopea della Chicago di Al Capone e del suo nemico, Eliot Ness; attori formidabili: S. Connery, K. Costner e R. De Niro.

3) Lezioni di Piano di J. Campion (1993)
Splendido film sul conflitto tra ragione e sentimento e sul rapporto tra cultura europea e cultura indigena della Nuova Zelanda; sublimi le musiche di M. Nyman, notevole l'interpretazione di H. Hunter (Oscar come migliore attrice protagonista nel 1994).

4) 2001 Odissea nello spazio di S. Kubrick (1968)
Film di fantascienza, dalle sfumature quasi metafisiche: stupenda metafora della storia dell'uomo e del suo complicato rapporto con la tecnologia.

5) Dogville di L. von Trier (2003)
Discusso film, girato con la tecnica teatro dello straniamento, che svela le ipocrisie di provincia e mostra a quale livello di cinismo possa arrivare il cosiddetto 'cittadino medio'. Splendida Kidman.

E voi quali film stranieri vorreste assolutamente salvare dall'oblio cui potrebbero essere condannati a causa della stupida volgarità che ci circonda? Dite pure la vostra! Intanto, la prossima volta ci occuperemo di film italiani. A presto!

Ferdinando G. Rotolo (maggio 2011)

mercoledì 25 maggio 2011

Personaggi dell’arte: Ruth Bernhard


Nata a Berlino il 14 ottobre 1905, Ruth Bernhard iniziò la carriera di fotografa alla fine degli anni ’20, a New York, città dove era emigrata con il padre Lucian, di mestiere grafico pubblicitario. All’inizio del decennio successivo cominciò una collaborazione con un quotidiano di New York che le consentì, con i primi guadagni, di acquistare una macchina fotografica e tentare la strada delle libera professione, scelta piuttosto difficile per una donna dell’epoca. Difficile era anche la scelta, di carattere personale, di manifestare senza reticenze la propria omosessualità, tema che traspose anche nell’immagine intitolata “Two Forms” (1962), che aveva per soggetto due modelle, amanti anche nella vita.
Trasferitasi in California con la propria compagna di allora, la designer Evelyn Phimister, si stabilì a Carmel, a Hollywood e infine a San Francisco, dove ha vissuto ininterrottamente fin dal 1953. Nel 1967 incontrò quello che sarebbe diventato l’amore della sua vita: Price Rice, un ufficiale di colore dell’esercito americano, con il quale il rapporto perdurò fino alla morte di lui, nel 1999.

Spanish dancer

  Si può dire che sia stata la collaborazione con Edward Weston a segnare una svolta nella sua carriera di fotografa. Il collega la spinse a essere più ambiziosa ed a credere nella fotografia come forma d’arte. E il riconoscimento degli ambienti più “di tendenza” dell’arte contemporanea non tardò ad arrivare, grazie anche ad estimatori e amici di una certa fama come Alfred Stieglitz, fotografo e anche conosciuto gallerista, il quale organizzò per lei numerose mostre fotografiche nelle principali capitali dell’arte mondiale. 


 Classic torso with hands

Tra i numerosi scatti di Ruth Bernhard considerati dei capolavori, oltre al già citato Two Forms, si ricordano in particolare Box, Horizontal (1962), che nel 2008 è stato battuto all’asta a New York per ben 31.000 dollari, ed Embryo (1934), uno dei primi nudi della fotografa originaria di Berlino, oggi conservato al MoMA di New York.  Box è considerato il suo capolavoro: l'immagine di una donna nuda dentro una scatola, premonitrice metafora del consumismo conformista che avrebbe negli anni successivi  'commercializzato' tutto, anche il corpo femminile.

 The box


Perché ricordare oggi, a cinque anni dalla scomparsa, una grandissima fotografa come la Bernhard? Innanzitutto perché è considerata, sul piano estetico, una maestra del nudo fotografico in bianco e nero, alla quale si sono rifatti, più o meno esplicitamente, tutti i grandi fotografi d'arte del Novecento; ma, soprattutto, perché oggi, nel momento in cui la figura femminile nuda è stata volgarmente sfruttata, banalizzata e vilipesa dal consumismo pubblicitario, l’esempio dei ritratti della fotografa tedesca vale a ricordarci che il corpo femminile nudo, che rappresenta una delle manifestazioni più alte della bellezza esistenti in natura, va rappresentato accostandosi ad esso con rispetto, cercando di rappresentare anche quell’alone di mistero che da sempre lo accompagna e che lo rende così suggestivo: la bellezza non è fatta solo di luce, ma anche di ombra, quell’ombra che suggerisce senza rivelare. E solo una raffinata sensibilità femminile come la sua poteva esprimere nella fotografia, questo concetto, oggi troppo frettolosamente dimenticato.


 Embryo

        Ci piace chiudere questo ricordo con le parole della stessa artista: “Se ho scelto la forma femminile, è perché nel ventesimo secolo la donna è stata l’obiettivo di molto di quanto c’è di sordido e di cattivo gusto, specialmente nella fotografia. Rialzare, elevare, promuovere con rispetto senza tempo l’immagine della donna è stata la mia missione, la ragione del mio lavoro”.
Parole nobili, che si commentano da sole.

Ferdinando G. Rotolo (maggio 2011)

domenica 22 maggio 2011

La madalonizzazione ovvero ignoranza

    Cari amici, grazie alla segnalazione di una follower (hobina) che ringrazio di cuore, sono venuto a conoscenza di un episodio surreale, avvenuto al Salone del libro di Torino di quest'anno.    
Dunque, in occasione del Salone, l'evento librario più importante in Italia, alcuni ragazzi dell'Università della città sabauda hanno pensato di allestire un bello scherzetto ai personaggi famosi in visita alla Mostra, forse più per farsi notare dai media che per autentico interesse culturale.
     Essi hanno allestito una specie di stand dedicato ad un nuovo fantomatico scrittore, chiamato Madalon, autore di un altrettanto fantomatico romanzo 'opera prima', dal titolo L'implosione. Uno di loro, poi, ha assunto le sembianze del presunto giovane scrittore ed è andato a ringraziare personaggi famosi presenti (da politici a giornalisti, da scrittori a conduttori televisivi) per le ottime recensioni ricevute sul suo 'straordinario' romanzo.
     Naturalmente, nessuno di costoro aveva mai visto il fantomatico testo, ma tutti hanno fatto finta di averlo letto, improvvisando commenti più o meno dettagliati sulla trama, sull'ambientazione, sui personaggi, addirittura con consigli all'autore sulla sua prossima fatica letteraria.
     Ora, questa burla dei buontemponi torinesi, sulla quale ci sarebbe da ridere, non solo ci svela il livello pauroso d'ignoranza in cui versa il nostro paese, soffocato dai tuttologi, ossia  da quei cosidddetti opinion leaders che fingono di sapere tutto, anche quando ciò è palesemente falso; ma, soprattutto, getta una luce indiscreta sui collaudati meccanismi che stanno dietro certi 'successi' commerciali recenti di autori semisconosciuti, che però, grazie ai loro editori, hanno goduto di battage publicitari di ampio respiro, tali da spingere molti a comprare 'quel' libro, se non altro per curiosità: la pubblicità, i rumors sul libro sono quasi più importanti del libro stesso! Così, come fossimo in un salottino virtuale, si crea un circolo vizioso della chiacchiera, che si autoalimenta e che autoalimenta le vendite.
     D'ora in poi facciamo dunque attenzione alle altisonanti recensioni che illustri critici fanno ai nuovi testi in uscita: chi ci garantisce che essi abbiano davvero letto in modo esauriente i libri che vanno commentando? Chi ci assicura che essi non siano semplicemente complici di logiche di marketing imposte dagli editori?
    Già, c'è davvero poco da ridere.

Su booksblog il video della burla

Ferdinando G. Rotolo (maggio 2011)

domenica 15 maggio 2011

Quanto si legge in Italia?


Come ogni anno di questi tempi, l’Istat ha comunicato gli ultimi dati sulla lettura di libri in Italia, riferiti all’anno 2010.
Dunque, stando a quanto affermano le ultime rilevazioni, in Italia si legge un poco di più, rispetto all’anno passato. Infatti, secondo i dato statistici, nel 2010 il 46,8% della popolazione con più di 6 anni (26 milioni e 448 mila persone) dichiara di aver letto, per motivi non strettamente scolastici e/o professionali, almeno un libro nei 12 mesi precedenti. Rispetto al 2009 si registra un aumento della quota dei lettori di libri dal 45,1% al 46,8%.
Diminuiscono leggermente le differenze di genere, mentre aumentano le differenze territoriali e quelle sociali. Le donne leggono più degli uomini: le lettrici, infatti, sono il 53,1% del totale, contro il 40,1 dei lettori.
Un dato in parte sorprendente riguarda gli adolescenti: tra gli 11 e i 17 anni si riscontra la quota più alta di lettori (oltre il 59%), con una punta tra gli 11 e i 14 anni (65,4%). Si tratterebbe, se confermato, di un dato piuttosto incoraggiante, perché vorrebbe dire che i giovani, nonostante TV ed Internet, stanno riscoprendo la lettura, anche se poi sarebbe interessante verificare quali generi letterari essi preferiscano.
Si legge di più al Nord e nel Centro, con percentuali di lettori superiori al 50% della popolazione di 6 anni e più. Nel Sud e nelle Isole, invece, la quota di lettori scende al di sotto del 37%: la differenza risulta significativa e si commenta da sola, purtroppo!
Circa il 90% delle famiglie dichiara di avere libri in casa, il che significa che un buon 10% dichiara di non possederne alcuno! Il dato è positivo o negativo, in base ai punti di vista.
Sul piano sociale, come era lecito attendersi, leggono di più i laureati, i dirigenti, gli impiegati, i quadri, gli studenti; leggono di meno gli operai, i ritirati dal lavoro e le casalinghe, i quali, probabilmente hanno altre faccende cui pensare.
Come commentare questi dati? Certo, il fatto che sia aumentato dell’1,7%, rispetto all’anno passato, il numero dei lettori, non può che essere considerato un fatto positivo. Ricordiamoci, però, che esiste sempre un buon 53,2% di persone che non ha mai letto nemmeno un libro nei 12 mesi precedenti, e questa, per un paese di grande tradizione letteraria come il nostro, non è una cosa di cui andar troppo fieri.
D’altra parte, le grandi manifestazioni dedicate al libro, come il salone di Torino, riscuotono un certo successo, anche perché offrono ai lettori la possibilità non solo di conoscere e toccare con mano tutte le novità editoriali proposte da case editrici grandi e piccole, ma anche quella di incontrare gli autori e dialogare con loro, cosa che suscita interesse nei lettori di tutte le età.
Insomma, cosa si potrebbe fare in Italia per favorire l’interesse per la lettura?

Ferdinando G. Rotolo (maggio 2011)

sabato 23 aprile 2011

Vuoto d'aria




La voce dell’hostess che annunciava l’ultima chiamata per il volo per Londra riecheggiava ancora nelle orecchie di Max, quando egli si stava appena svegliando, dopo un breve sonnellino sul sedile della saletta piloti dell’aeroporto. Quasi inconsapevolmente, egli si era addormentato con la testa pesantemente riversa in avanti, mentre era in attesa del volo che avrebbe dovuto riportarlo a Milano, dopo aver concluso il suo turno di lavoro.
Da quando aveva cambiato le rotte di navigazione, i ritmi di lavoro si erano fatti più serrati e, forse, stavolta aveva preteso un po’ troppo dal suo fisico, che, evidentemente, reclamava riposo.
Ridestatosi, cercò con gli occhi di mettere a fuoco il display del tabellone delle partenze e osservò che l’aereo per Milano sarebbe partito con circa 15 minuti di ritardo sull’ora prevista: “Manca ancora una mezz’oretta… ho il tempo di navigare su internet un po’ e controllare la posta” – pensò tra sé. Così si recò nella saletta wi-fi dell’aeroporto e con il suo tablet iniziò a controllare le varie e-mail ricevute.
A dire la verità, solo una lo interessava davvero e fu la prima che cercò in mezzo alle altre:

from Eva
to Max
Darling, I often remember our moments together and I miss you. Why don’t you come to London this week? We’d take a walk in the Regents park… I’m waiting for you! Kisses!

Leggere la mail gli donò un repentino lampo di serenità, capace di squarciare per un attimo le nubi che iniziavano a far capolino sull’orizzonte della sua mente. In mezzo a tanti impicci di lavoro, tra turni pesanti, fusi orari scombinati e attese snervanti, Eva era ancora lì, pronta ad accoglierlo a braccia aperte, nonostante i contatti tra loro fossero divenuti sempre più difficili a causa del lavoro.
Si erano conosciuti due anni prima in un villaggio turistico in Irlanda e subito era scoccata la scintilla magica tra lui, pilota di linea veneziano provetto, e lei, brillante agente di viaggio londinese. Così, quell’estate irlandese era divenuta straordinaria per lui e da allora avevano iniziato a frequentarsi, pur tra mille difficoltà.
Quando gli intervalli tra un incontro e l’altro si facevano un po’ lunghi, ogni volta che ne aveva tempo, Massimiliano (ma i colleghi lo chiamavano tutti Max) le mandava qualche e-mail per farle sentire la sua vicinanza ed attendeva con ansia la risposta: “Chi ha inventato la e-mail? Gli darei un premio!” – pensava spesso.
Come trafitto da un’iniezione d’eccitazione, velocemente rispose alla mail di Eva, scrivendo che, forse, non proprio quella settimana, ma, almeno, la seguente egli sarebbe andato a Londra e allora si sarebbero rivisti.
Ma, intanto, i giorni passavano. Max volava da un capo all’altro del mondo, da un aeroporto all’altro, in un carosello che mesceva allegramente i fusi orari più diversi di questo strano e rumoroso sferoide che chiamano terra. A volte, egli percepiva il peso della stanchezza, delle ore di volo che si sommavano impietose le une alle altre, dei pasti irregolari, degli orari forzati, e talvolta avvertiva dentro di sé il desiderio di smettere. Certo, quel lavoro gli offriva uno stipendio non disprezzabile, ma lo costringeva ad una vita perennemente in aria, senza un approdo fisso, un punto di riferimento certo. Egli volava in cielo come gli uccelli, con la differenza che questi, però, avevano un loro nido in cui rifugiarsi, prima o poi.
Passarono altre settimane. Max non era andato a Londra. Gli impegni di lavoro lo avevano costretto ad una serie di viaggi andata-ritorno sulla rotta per l’Oriente. Dentro di sé avvertiva la stanchezza fisica di quei percorsi volanti compiuti magnis itineribus, ma, soprattutto, sentiva il peso soffocante della nuova delusione procurata ad Eva, che lo aveva atteso inutilmente a Londra. “Chissà cosa farà Eva ora? Sarà adirata? Sarà delusa?” – pensava e ripensava tra sé, mentre nell’aeroporto di chissà quale città dell’Oriente cercava affannosamente una saletta connessa ad internet, per controllare ancora la posta. Dopo aver aperto il suo account, Max mosse nervosamente il dito sullo schermo del tablet, per aprire la casella di posta in entrata: egli con gli occhi guardò, osservò, scrutò; alla fine trovò.

From Eva
To Max
Why did you leave me alone again? Yesterday I didn’t feel fine, ‘cause my heart needed you, my body needed you… I hope you come to me next month… or am I ingenous?
Goodbye

Eva lo aveva posto dinanzi ad una domanda brutale, ma egli non trovava più le parole per replicare. Evidentemente la donna aveva passato momenti difficili in solitudine e ne attribuiva la colpa a lui. Ma come darle torto? Dopo mesi di attesa, ancora una volta, Max aveva mancato l’appuntamento, lasciando cadere nel vuoto una nuova possibilità d’incontrarsi, di rinvigorire, grazie al contatto fisico ravvicinato, una relazione che stava divenendo sempre più eterea.
Eppure… eppure tra le righe Eva lasciava ancora una porta aperta. “Il mese prossimo… ma certo… il mese prossimo… devo assolutamente fare in modo di essere da lei!” – pensava tra sé, sforzandosi di promettere a sé stesso che, stavolta, non avrebbe deluso la sua Eva. Senza neanche essere troppo sicuro di ciò che scriveva, Max compose alcune parole sulla tastiera virtuale del suo tablet, promettendo ancora a lei che si sarebbero rivisti il mese successivo.
Intanto, le settimane continuavano a trascorrere implacabili. Max continuava a viaggiare in giro per il mondo, ma il peso della fatica si faceva sempre più opprimente; una volta, durante un volo, aveva pregato il copilota di prendere il suo posto, perché aveva sentito il bisogno di rilassarsi; seduto su una poltroncina, aveva ceduto alle lusinghe di Morfeo e gli era parso di sognare un labirinto di stanze in cui echeggiava una voce di donna che lo invocava; convinto che si trattasse di Eva, Max percorreva una scala per salire al piano superiore, inseguendo la stessa voce; e così ancora una volta, su per un altro piano; e così un’altra volta, su per un ulteriore piano; e così via ancora, su per chissà quanti piani ancora, sempre a caccia di quella voce misteriosa che lo seduceva con la sua melodia, finché, stremato, non stramazzava sul pavimento.
Si risvegliò improvvisamente, con la fronte grondante di sudore ed il respiro affannoso. Si guardò intorno smarrito, ma non c’era nessuno vicino a lui e la cosa lo sollevò un poco: almeno nessuno si era accorto del suo stato di ansia. Quel sogno, però, lo aveva turbato, per cui, nei giorni successivi, si adoperò, senza peraltro riuscirci del tutto, per rimuoverlo dalla memoria.
Nel frattempo, le miglia si sommavano alle miglia, le ore alle ore, i giorni ai giorni, le settimane alle settimane, i mesi ai mesi e Max era ancora sempre in viaggio, come se il suo lavoro fosse divenuto un’invisibile prigione senza porte d’uscita, con le nuvole alte che facevano compagnia al suo perpetuo e spossante peregrinare nei cieli senza posa. Finalmente, arrivò il momento agognato del riposo. Dopo qualche giorno, sarebbe iniziato per lui un periodo di ferie di una settimana; certo, non si trattava di un periodo molto lungo, ma sufficiente per andare a Londra a rivedere nuovamente la sua Eva.
Così, mentre si trovava nella saletta di un aeroporto del sol levante, si collegò con il suo tablet per controllare la posta, compiaciuto con sé stesso di poter finalmente annunciare alla sua Eva che tra pochi giorni sarebbe andato da lei. Max aprì la sua casella di posta e diede uno sguardo, ma non trovò nulla; guardò con maggiore attenzione, ma non trovò alcun messaggio di Eva; in preda ad un’inquietudine crescente, arrivò persino a chiudere la casella e a riaprirla nuovamente, ma senza risultato: nessun messaggio da Eva.
Max compose nervosamente un nuovo messaggio, per dire ad Eva che le ferie erano ormai vicine e di lì a poco sarebbe volato a Londra da lei. Avrebbe voluto aggiungere altre parole, ma non ne ebbe il tempo.
Durante il viaggio di ritorno, compiuto da passeggero, la sua mente era annebbiata da mesti pensieri: “Perché Eva non si è fatta viva? Forse si è stancata di aspettare? Ma ora le ho detto che verrò… ora mi risponderà, dovrà rispondermi”.
Approfittando di un cambio di aereo in Qatar, Max riprovò a collegarsi con la sua casella di posta, per vedere se Eva avesse mandato qualche risposta, ma con grande sorpresa dovette osservare che da lei non era giunto alcun messaggio.
Così passarono altri giorni ed altre settimane. Max continuò disperatamente ad inviare messaggi ad Eva, ma senza risposta; provò anche a telefonarle, ma il suo smartphone era sempre maledettamente irraggiungibile; infine, dopo una ricerca stressante, riuscì a trovare il recapito della padrona di casa dell’appartamento di Eva e le chiese notizie:

Miss Eva Leston? She isn’t here now. She went to Portugal last week and I don’t know when she will return.

Max chiuse la comunicazione senza neanche rispondere. Eva non c’era più. Ora egli sentiva che lei non c’era davvero più per lui; stanca di un’attesa senza scopo, non era soltanto andata in Portogallo per lavoro, ma era fuggita via, per sempre. E la colpa di tutto ciò era solo di Max e di nessun altro.
Le ferie fuggirono via rapidamente. Max riprese di nuovo a volare, con un umore sempre più cupo. Ricominciava la giostra dei turni, dei cambi di volo, delle veloci pause-pranzo, ma tutte queste cose, gli apparivano senza senso, ora che ad attenderlo non c’era più Eva. Anche il suo tablet, fedele ed inconsapevole compagno di disavventure, gli sembrava quasi un giocattolo inutile. Soprattutto, il lavoro, il suo lavoro, che pure, da giovane, aveva sognato tanto e che aveva conquistato a prezzo d’interminabili studi notturni e di sacrifici, faceva sentire sempre più il suo peso sul suo fisico, ormai debilitato.
Di tanto in tanto, Max pensava a cosa avrebbe fatto, una volta andato in pensione. Un tempo, avrebbe vagheggiato viaggi con Eva in paesi esotici o in città d’arte, confusi in mezzo al vociare disordinato di turisti di ogni nazionalità; ma, ora, anche l’avvenire gli pareva incerto e caliginoso, come una pianura lontana ricoperta da una nebbia che non lascia intravedere cosa si trova oltre la linea dell’orizzonte.
Durante un volo per Shangai, oppresso nel corpo e nello spirito da una pesantezza più forte del solito, dopo aver chiesto al copilota di sostituirlo per alcuni minuti, Max si alzò dal suo posto di guida e fece alcuni stentati passi verso la sala passeggeri. Egli vide allora una poltroncina vuota e si lasciò cadere su di essa con tutto il fardello delle miglia che sentiva sulle spalle. Così, mentre stava seduto, sospeso in uno stato a metà tra la coscienza e l’incoscienza, ebbe l’impressione di sentire ancora quella voce femminile che aveva udito nel sogno, quella voce insinuante che lo blandiva nuovamente, invocandolo: chi era? Forse era Eva? Forse ella veniva a rivederlo di nuovo? Forse la bella donna, pentitasi di essersi allontanata, ritornava di nuovo da lui? Comunque stessero le cose, Max provò un inatteso senso di consolazione nel risentire quella voce e si addormentò profondamente.
Dopo qualche tempo, fu un’hostess di volo, chiamata a gran voce dal copilota, insospettitosi per il prolungarsi della sua assenza, a tentare insistentemente di risvegliare Max dal suo sonno, ma senza successo.
Come un passero con le ali rattrappite dai gelidi venti d’inverno, egli aveva capito di non essere più in grado di volare e si era finalmente posato su un nido.
Per sempre.


Ferdinando G. Rotolo (aprile 2011)



mercoledì 20 aprile 2011

Avviso: in arrivo un racconto breve

Cari amici, approfittando dell'occasione per fare gli auguri di Buona Pasqua a tutti, vi comunico che presto su questo blog, pubblicherò il testo di un nuovo racconto breve che ho scritto da poco e che vorrei condividere con tutti.
Perché scrivere un testo narrativo?
Beh, si potrebbe rispondere... Se tutti (anche certi personaggi tv piuttosto incolti) scrivono, perché non potrei farlo anch'io? A parte gli scherzi, chi ama la letteratura sa che comporre testi è una delle cose più stimolanti e gratificanti che un essere umano possa fare; che poi il testo piaccia o no, che abbia successo o no, questo è un particolare secondario. Comporre una storia significa creare dal nulla personaggi e vicende che esistono solo nel mondo fantastico di chi scrive: è un po' come vivere altre vite in un'altra dimensione, lontano dal grigiore del quotidiano. Non vi sembra interessante? Naturalmente, un testo, per quanto fantastico, non è mai completamente avulso dalla realtà, ma piuttosto cerca di trasfigurarla, offrendo magari ai lettori qualche spunto di riflessione, se ci riesce...
Perché un racconto breve?
Perché credo sia la forma espressiva tipica dei nostri giorni, dove il tempo appare frammentato; e poi voi, internauti abituati a 'consumare' eventi nello stesso arco di tempo in cui si consuma una merendina, avreste voglia d'imbarcarvi nella lettura di un romanzo-fiume? Penso, nemmeno di un romanzo-acquitrino...
Naturalmente, appena il racconto sarà pubblicato sul blog, spero di ricevere presto le vostre impressioni... e speriamo bene!

Ferdinando G. Rotolo (aprile 2011)

venerdì 18 marzo 2011

Dante ed i Templari (Purg. XX, 91-96)


Venendo incontro alle curiosità sorte in alcuni dei miei allievi, interessati al medioevo ed incuriositi dalla turbinosa storia dei cavalieri templari, proviamo ad offrire alcuni spunti di riflessione ‘fuori dal coro’ sugli echi della vicenda presenti nel poema.
All’interno della seconda cantica del suo straordinario poema Dante inserisce l’unico riferimento esplicito alla famosa vicenda della persecuzione dell’Ordine dei Templari. Come è noto, i membri dell’Ordine dei Cavalieri Templari, allora il più potente tra gli ordini cavallereschi della Chiesa, vennero accusati nel 1307 di eresia dal re di Francia Filippo il Bello, che aspirava ad impossessarsi delle loro ingenti ricchezze. Grazie a testimonianze inventate ed a confessioni estorte spesso sotto tortura, il re fece arrestare e mandò a morte molti componenti dell’ordine con l’avallo silenzioso del Papa di allora, Clemente V, che solo nel 1312 al Concilio di Vienna emanò la condanna definitiva per eresia e il decreto di soppressione dell’Ordine, disponendo anche che le ricchezze fino ad allora appartenute ai Templari fossero destinate agli Ospitalieri, loro rivali.
Dante aveva dedicato alla figura di Clemente V parole non certo benevole già nella prima Cantica (Inferno, XIX, 81-87), allorché lo aveva definito pastor senza legge ed accusato di essere stato, sostanzialmente, un burattino nelle mani del Re di Francia.
Ora, nel Purgatorio, Dante ritorna sull’argomento con parole altrettanto ferme, che si prestano ad interessanti considerazioni:

Veggio il novo Pilato si crudele,
che ciò nol sazia, ma senza decreto
portar nel Tempio le cupide vele.
O Signor mio, quando sarò io lieto
a veder la tua vendetta che, nascosa,
fa dolce l’ira tua nel segreto?

Dante lamenta che un nuovo Pilato vuole assaltare il Tempio, senza averne alcun diritto: appare chiaro che il nuovo Pilato è Filippo il Bello, il quale, senza alcuna autorità, vuole distruggere l’Ordine dei Templari. Nel 1307 il re agisce senza decreto, in quanto una vera e propria condanna per eresia nei confronti dei Templari arriverà solo, come detto, nel 1312, dunque il suo è un vero e proprio abuso.
L’immagine delle cupide vele ricorda quella di un assalto piratesco, ma potrebbe significare anche altro. Non dimentichiamo che all’inizio del Purgatorio (I, 1-3) Dante dice:

Per correr migliori acque alza le vele
ormai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar si crudele;

In sostanza, il poeta ci avverte che la poesia della seconda cantica sarà più complessa e sofisticata di quella della prima e che, dunque, la nave del suo intelletto dovrà alzare le vele verso nuovi sentieri di conoscenza; così, anche il lettore dovrà essere chiamato ad un maggiore impegno. Sarebbe possibile collegare tra loro le due immagini? Le vele della nave di Filippo il Bello erano cupide solo del denaro dei Templari (che, tra l’altro, erano stati suoi creditori) o anche di altro? Filippo voleva accedere anche al patrimonio di conoscenze segrete di cui i Templari, forse, erano in possesso e che erano riservate solo agli alti gradi dell’Ordine?
Ma andiamo avanti. Dante invoca dal Signore una vendetta nei confronti del re e dice che essa sarà nascosa, cioè, secondo l’interpretazione corrente, impenetrabile agli occhi dei mortali; ma Dante non potrebbe voler alludere anche ad altro? Se la vendetta sarà segreta, Dante potrebbe voler dire che l’Ordine stesso si vendicherà delle malefatte del re; ma, se l’Ordine verrà ufficialmente soppresso nel 1312, esso potrebbe vendicarsi dei soprusi del sovrano, solo a condizione di entrare in clandestinità ed agire in segreto. In tal caso, Dante alluderebbe alla sopravvivenza sotterranea dei Templari anche dopo il decreto papale di soppressione e ad una loro futura vendetta, da compiersi in segreto, nei confronti della monarchia francese. E, in tal caso, come faceva Dante ad esserne a conoscenza?
Naturalmente, se queste interpretazioni cogliessero nel vero, ciò comporterebbe una serie di implicazioni che modificherebbero un poco l’immagine tradizionale di Dante costruita da decenni d’insegnamento scolastico, ma dobbiamo ricordare che il poeta è stato il maestro della polisemia linguistica e che egli stesso ci ha ricordato nel Convivio che la scrittura può contenere al suo interno significati differenti e stratificati tra loro, che non si escludono, ma si integrano e si illuminano a vicenda.
Con questo intervento, non si  è inteso esporre alcunché di rivoluzionario nel modo d’interpretare il poema (simili osservazioni si ritrovano, ad esempio, già negli studi di Pascoli), ma soltanto ‘stuzzicare’ la curiosità dei lettori ed esortarli a leggere con attenzione i sublimi versi del Sommo Poeta, che tanti tesori hanno in serbo per chi volesse cercarli.

Ferdinando Rotolo (marzo 2011)