sabato 23 aprile 2011

Vuoto d'aria




La voce dell’hostess che annunciava l’ultima chiamata per il volo per Londra riecheggiava ancora nelle orecchie di Max, quando egli si stava appena svegliando, dopo un breve sonnellino sul sedile della saletta piloti dell’aeroporto. Quasi inconsapevolmente, egli si era addormentato con la testa pesantemente riversa in avanti, mentre era in attesa del volo che avrebbe dovuto riportarlo a Milano, dopo aver concluso il suo turno di lavoro.
Da quando aveva cambiato le rotte di navigazione, i ritmi di lavoro si erano fatti più serrati e, forse, stavolta aveva preteso un po’ troppo dal suo fisico, che, evidentemente, reclamava riposo.
Ridestatosi, cercò con gli occhi di mettere a fuoco il display del tabellone delle partenze e osservò che l’aereo per Milano sarebbe partito con circa 15 minuti di ritardo sull’ora prevista: “Manca ancora una mezz’oretta… ho il tempo di navigare su internet un po’ e controllare la posta” – pensò tra sé. Così si recò nella saletta wi-fi dell’aeroporto e con il suo tablet iniziò a controllare le varie e-mail ricevute.
A dire la verità, solo una lo interessava davvero e fu la prima che cercò in mezzo alle altre:

from Eva
to Max
Darling, I often remember our moments together and I miss you. Why don’t you come to London this week? We’d take a walk in the Regents park… I’m waiting for you! Kisses!

Leggere la mail gli donò un repentino lampo di serenità, capace di squarciare per un attimo le nubi che iniziavano a far capolino sull’orizzonte della sua mente. In mezzo a tanti impicci di lavoro, tra turni pesanti, fusi orari scombinati e attese snervanti, Eva era ancora lì, pronta ad accoglierlo a braccia aperte, nonostante i contatti tra loro fossero divenuti sempre più difficili a causa del lavoro.
Si erano conosciuti due anni prima in un villaggio turistico in Irlanda e subito era scoccata la scintilla magica tra lui, pilota di linea veneziano provetto, e lei, brillante agente di viaggio londinese. Così, quell’estate irlandese era divenuta straordinaria per lui e da allora avevano iniziato a frequentarsi, pur tra mille difficoltà.
Quando gli intervalli tra un incontro e l’altro si facevano un po’ lunghi, ogni volta che ne aveva tempo, Massimiliano (ma i colleghi lo chiamavano tutti Max) le mandava qualche e-mail per farle sentire la sua vicinanza ed attendeva con ansia la risposta: “Chi ha inventato la e-mail? Gli darei un premio!” – pensava spesso.
Come trafitto da un’iniezione d’eccitazione, velocemente rispose alla mail di Eva, scrivendo che, forse, non proprio quella settimana, ma, almeno, la seguente egli sarebbe andato a Londra e allora si sarebbero rivisti.
Ma, intanto, i giorni passavano. Max volava da un capo all’altro del mondo, da un aeroporto all’altro, in un carosello che mesceva allegramente i fusi orari più diversi di questo strano e rumoroso sferoide che chiamano terra. A volte, egli percepiva il peso della stanchezza, delle ore di volo che si sommavano impietose le une alle altre, dei pasti irregolari, degli orari forzati, e talvolta avvertiva dentro di sé il desiderio di smettere. Certo, quel lavoro gli offriva uno stipendio non disprezzabile, ma lo costringeva ad una vita perennemente in aria, senza un approdo fisso, un punto di riferimento certo. Egli volava in cielo come gli uccelli, con la differenza che questi, però, avevano un loro nido in cui rifugiarsi, prima o poi.
Passarono altre settimane. Max non era andato a Londra. Gli impegni di lavoro lo avevano costretto ad una serie di viaggi andata-ritorno sulla rotta per l’Oriente. Dentro di sé avvertiva la stanchezza fisica di quei percorsi volanti compiuti magnis itineribus, ma, soprattutto, sentiva il peso soffocante della nuova delusione procurata ad Eva, che lo aveva atteso inutilmente a Londra. “Chissà cosa farà Eva ora? Sarà adirata? Sarà delusa?” – pensava e ripensava tra sé, mentre nell’aeroporto di chissà quale città dell’Oriente cercava affannosamente una saletta connessa ad internet, per controllare ancora la posta. Dopo aver aperto il suo account, Max mosse nervosamente il dito sullo schermo del tablet, per aprire la casella di posta in entrata: egli con gli occhi guardò, osservò, scrutò; alla fine trovò.

From Eva
To Max
Why did you leave me alone again? Yesterday I didn’t feel fine, ‘cause my heart needed you, my body needed you… I hope you come to me next month… or am I ingenous?
Goodbye

Eva lo aveva posto dinanzi ad una domanda brutale, ma egli non trovava più le parole per replicare. Evidentemente la donna aveva passato momenti difficili in solitudine e ne attribuiva la colpa a lui. Ma come darle torto? Dopo mesi di attesa, ancora una volta, Max aveva mancato l’appuntamento, lasciando cadere nel vuoto una nuova possibilità d’incontrarsi, di rinvigorire, grazie al contatto fisico ravvicinato, una relazione che stava divenendo sempre più eterea.
Eppure… eppure tra le righe Eva lasciava ancora una porta aperta. “Il mese prossimo… ma certo… il mese prossimo… devo assolutamente fare in modo di essere da lei!” – pensava tra sé, sforzandosi di promettere a sé stesso che, stavolta, non avrebbe deluso la sua Eva. Senza neanche essere troppo sicuro di ciò che scriveva, Max compose alcune parole sulla tastiera virtuale del suo tablet, promettendo ancora a lei che si sarebbero rivisti il mese successivo.
Intanto, le settimane continuavano a trascorrere implacabili. Max continuava a viaggiare in giro per il mondo, ma il peso della fatica si faceva sempre più opprimente; una volta, durante un volo, aveva pregato il copilota di prendere il suo posto, perché aveva sentito il bisogno di rilassarsi; seduto su una poltroncina, aveva ceduto alle lusinghe di Morfeo e gli era parso di sognare un labirinto di stanze in cui echeggiava una voce di donna che lo invocava; convinto che si trattasse di Eva, Max percorreva una scala per salire al piano superiore, inseguendo la stessa voce; e così ancora una volta, su per un altro piano; e così un’altra volta, su per un ulteriore piano; e così via ancora, su per chissà quanti piani ancora, sempre a caccia di quella voce misteriosa che lo seduceva con la sua melodia, finché, stremato, non stramazzava sul pavimento.
Si risvegliò improvvisamente, con la fronte grondante di sudore ed il respiro affannoso. Si guardò intorno smarrito, ma non c’era nessuno vicino a lui e la cosa lo sollevò un poco: almeno nessuno si era accorto del suo stato di ansia. Quel sogno, però, lo aveva turbato, per cui, nei giorni successivi, si adoperò, senza peraltro riuscirci del tutto, per rimuoverlo dalla memoria.
Nel frattempo, le miglia si sommavano alle miglia, le ore alle ore, i giorni ai giorni, le settimane alle settimane, i mesi ai mesi e Max era ancora sempre in viaggio, come se il suo lavoro fosse divenuto un’invisibile prigione senza porte d’uscita, con le nuvole alte che facevano compagnia al suo perpetuo e spossante peregrinare nei cieli senza posa. Finalmente, arrivò il momento agognato del riposo. Dopo qualche giorno, sarebbe iniziato per lui un periodo di ferie di una settimana; certo, non si trattava di un periodo molto lungo, ma sufficiente per andare a Londra a rivedere nuovamente la sua Eva.
Così, mentre si trovava nella saletta di un aeroporto del sol levante, si collegò con il suo tablet per controllare la posta, compiaciuto con sé stesso di poter finalmente annunciare alla sua Eva che tra pochi giorni sarebbe andato da lei. Max aprì la sua casella di posta e diede uno sguardo, ma non trovò nulla; guardò con maggiore attenzione, ma non trovò alcun messaggio di Eva; in preda ad un’inquietudine crescente, arrivò persino a chiudere la casella e a riaprirla nuovamente, ma senza risultato: nessun messaggio da Eva.
Max compose nervosamente un nuovo messaggio, per dire ad Eva che le ferie erano ormai vicine e di lì a poco sarebbe volato a Londra da lei. Avrebbe voluto aggiungere altre parole, ma non ne ebbe il tempo.
Durante il viaggio di ritorno, compiuto da passeggero, la sua mente era annebbiata da mesti pensieri: “Perché Eva non si è fatta viva? Forse si è stancata di aspettare? Ma ora le ho detto che verrò… ora mi risponderà, dovrà rispondermi”.
Approfittando di un cambio di aereo in Qatar, Max riprovò a collegarsi con la sua casella di posta, per vedere se Eva avesse mandato qualche risposta, ma con grande sorpresa dovette osservare che da lei non era giunto alcun messaggio.
Così passarono altri giorni ed altre settimane. Max continuò disperatamente ad inviare messaggi ad Eva, ma senza risposta; provò anche a telefonarle, ma il suo smartphone era sempre maledettamente irraggiungibile; infine, dopo una ricerca stressante, riuscì a trovare il recapito della padrona di casa dell’appartamento di Eva e le chiese notizie:

Miss Eva Leston? She isn’t here now. She went to Portugal last week and I don’t know when she will return.

Max chiuse la comunicazione senza neanche rispondere. Eva non c’era più. Ora egli sentiva che lei non c’era davvero più per lui; stanca di un’attesa senza scopo, non era soltanto andata in Portogallo per lavoro, ma era fuggita via, per sempre. E la colpa di tutto ciò era solo di Max e di nessun altro.
Le ferie fuggirono via rapidamente. Max riprese di nuovo a volare, con un umore sempre più cupo. Ricominciava la giostra dei turni, dei cambi di volo, delle veloci pause-pranzo, ma tutte queste cose, gli apparivano senza senso, ora che ad attenderlo non c’era più Eva. Anche il suo tablet, fedele ed inconsapevole compagno di disavventure, gli sembrava quasi un giocattolo inutile. Soprattutto, il lavoro, il suo lavoro, che pure, da giovane, aveva sognato tanto e che aveva conquistato a prezzo d’interminabili studi notturni e di sacrifici, faceva sentire sempre più il suo peso sul suo fisico, ormai debilitato.
Di tanto in tanto, Max pensava a cosa avrebbe fatto, una volta andato in pensione. Un tempo, avrebbe vagheggiato viaggi con Eva in paesi esotici o in città d’arte, confusi in mezzo al vociare disordinato di turisti di ogni nazionalità; ma, ora, anche l’avvenire gli pareva incerto e caliginoso, come una pianura lontana ricoperta da una nebbia che non lascia intravedere cosa si trova oltre la linea dell’orizzonte.
Durante un volo per Shangai, oppresso nel corpo e nello spirito da una pesantezza più forte del solito, dopo aver chiesto al copilota di sostituirlo per alcuni minuti, Max si alzò dal suo posto di guida e fece alcuni stentati passi verso la sala passeggeri. Egli vide allora una poltroncina vuota e si lasciò cadere su di essa con tutto il fardello delle miglia che sentiva sulle spalle. Così, mentre stava seduto, sospeso in uno stato a metà tra la coscienza e l’incoscienza, ebbe l’impressione di sentire ancora quella voce femminile che aveva udito nel sogno, quella voce insinuante che lo blandiva nuovamente, invocandolo: chi era? Forse era Eva? Forse ella veniva a rivederlo di nuovo? Forse la bella donna, pentitasi di essersi allontanata, ritornava di nuovo da lui? Comunque stessero le cose, Max provò un inatteso senso di consolazione nel risentire quella voce e si addormentò profondamente.
Dopo qualche tempo, fu un’hostess di volo, chiamata a gran voce dal copilota, insospettitosi per il prolungarsi della sua assenza, a tentare insistentemente di risvegliare Max dal suo sonno, ma senza successo.
Come un passero con le ali rattrappite dai gelidi venti d’inverno, egli aveva capito di non essere più in grado di volare e si era finalmente posato su un nido.
Per sempre.


Ferdinando G. Rotolo (aprile 2011)



mercoledì 20 aprile 2011

Avviso: in arrivo un racconto breve

Cari amici, approfittando dell'occasione per fare gli auguri di Buona Pasqua a tutti, vi comunico che presto su questo blog, pubblicherò il testo di un nuovo racconto breve che ho scritto da poco e che vorrei condividere con tutti.
Perché scrivere un testo narrativo?
Beh, si potrebbe rispondere... Se tutti (anche certi personaggi tv piuttosto incolti) scrivono, perché non potrei farlo anch'io? A parte gli scherzi, chi ama la letteratura sa che comporre testi è una delle cose più stimolanti e gratificanti che un essere umano possa fare; che poi il testo piaccia o no, che abbia successo o no, questo è un particolare secondario. Comporre una storia significa creare dal nulla personaggi e vicende che esistono solo nel mondo fantastico di chi scrive: è un po' come vivere altre vite in un'altra dimensione, lontano dal grigiore del quotidiano. Non vi sembra interessante? Naturalmente, un testo, per quanto fantastico, non è mai completamente avulso dalla realtà, ma piuttosto cerca di trasfigurarla, offrendo magari ai lettori qualche spunto di riflessione, se ci riesce...
Perché un racconto breve?
Perché credo sia la forma espressiva tipica dei nostri giorni, dove il tempo appare frammentato; e poi voi, internauti abituati a 'consumare' eventi nello stesso arco di tempo in cui si consuma una merendina, avreste voglia d'imbarcarvi nella lettura di un romanzo-fiume? Penso, nemmeno di un romanzo-acquitrino...
Naturalmente, appena il racconto sarà pubblicato sul blog, spero di ricevere presto le vostre impressioni... e speriamo bene!

Ferdinando G. Rotolo (aprile 2011)