lunedì 18 giugno 2012

Fahrenheit 451, 61 anni dopo.

Agli inizi del mese di giugno ci ha lasciato il grande scrittore americano Ray Bradbury, autore di vari racconti di fantascienza, come le Cronache marziane, ma soprattutto del celebre romanzo Fahrenheit 451. Questo romanzo narra le vicende di un vigile del fuoco, Guy Montag, che vive in una ipotetica società del futuro, nella quale il Potere considera un reato la lettura dei libri e impone alla gente di 'istruirsi' esclusivamente attraverso la televisione. Montag stesso ha l'incarico di bruciare i libri che trova, ma, un giorno, decide per curiosità di leggerne uno e da allora comincia a racconglierli di nascosto e a leggerli, commettendo così agli occhi del Potere un grave reato. Dopo essere stato scoperto, anche per la delazione della sua stessa moglie, che lo ha denunciato, Montag fugge fuori dalla città ed incontra un gruppo di persone che, per cercare di salvare dalla distruzione il patrimonio letterario dell'umanità e trasmetterlo ai posteri, imparano clandestinamente a memoria i libri che possiedono, pur consapevoli dei rischi che corrono.
Questo testo ha meritatamente avuto enorme successo e ad esso si ispirò anche  il regista francese F. Truffaut per la pellicola omonima.
Appare evidente come l'autore abbia voluto rappresentare i pericoli insiti in una società controllata da un potere dispotico capace di controllare le coscienze; non è affatto un caso che il Potere affidi alla televisione il compito di 'educare' i cittadini, in quanto essa è uno strumento diffuso in modo capillare ed è unidirezionale, cioé non consente l'interattività tra emittente e ricevente: lo spettattore è un soggetto puramente passivo, quasi un vaso da riempire, o meglio da indottrinare con verità preconfezionate! 
Il libro, invece, consente al lettore di sviluppare il senso critico, il gusto estetico, la proprietà  di linguaggio, tutte cose che facilitano la crescita di una coscienza civile autonoma: esattamente ciò che il Potere non desidera! Perciò i libri devono essere bruciati...
Quante volte nella storia abbiamo assistito ai roghi di libri! Nel medioevo si bruciavano i libri considerati malefici e legati alla stregoneria; durante il nazismo si bruciavano i libri ritenuti portatori di valori 'anti-ariani'; anche oggi in alcune zone del mondo i seguaci di una tal religione bruciano i testi sacri appartenenti a una religione diversa, e così via.


Ma oggi, nel moderno e opulento occidente, potrebbe mai accadere quanto immaginato da Bradbury? Il Potere ha ancora paura dei libri? A mio parere, si; solo che oggi esso adotta una strategia più subdola. Oggi il Potere non minaccia roghi di libri, che certamente darebbero nell'occhio; piuttosto cerca di far passare il messaggio che la lettura sia, in fondo, una perdita di tempo. 

Cari ragazzi, cari giovani, care donne, perché vi affannate a leggere? Oggi è molto meglio vedere la TV, guardare spettacoli 'edificanti' come Il grande fratello (guardacaso...) o 'interessanti' talk show basati sul gossip; chi ha più tempo per leggere I promessi sposi o Il cavaliere inesistente? E poi, cari cittadini-consumatori-sudditi, che bisogno c'è di affinare la lingua? Ormai l'anglicizzazione di massa ha semplificato anche l'italiano: a cosa serve il congiuntivo? A cosa servono i termini astratti o i sinonimi? Molto meglio conoscere pochi vocaboli, facili facili da imparare (non a caso la neolingua di cui parlava Orwell in 1984 prevedeva l'uso di pochissimi vocaboli...)!

Insomma, il Potere vorrebbe avere a che fare con masse di cittadini ignoranti, poco amanti della lettura e molto della TV, possibilmente dotati di un lessico povero, dato che i vocaboli sono veicolo delle idee. Certo, oggi non vediamo vigili del fuoco che, come Montag, vanno in giro ad incendiare libri! Però vediamo librerie popolate da visitatori sempre più radi, mentre i centri commerciali,  divenuti i nuovi paradisi artificiali del consumismo, sono affollatissimi; leggiamo dati di vendita che ci dicono che in un paese di enorme tradizione culturale come l'Italia si legge pochissimo, mentre la gente, persuasa dalla pubblicità martellante, spende un mucchio di quattrini per l'abbigliamento 'griffato'; e, mentre i libri di grammatica riposano su polverosi scaffali, osserviamo gli effetti deleteri che il linguaggio televisivo e dei media sta avendo sulla lingua dei nostri ragazzi, che parlano un italiano sempre più povero e sempre più deformato da orrendi anglicismi. 
Così, a distanza di 61 anni dalla sua prima pubblicazione, il romanzo di Bradbury suona ancora come un monito per tutti noi a vigilare e a fare qualcosa, ognuno nel suo campo, affinché le nuove generazioni non considerino le librerie come un posto da disertare, ma come un luogo piacevole, dove poter passare serenamente qualche ora, alla ricerca di un vero amico: un libro capace di farci sognare, di spingerci alla riflessione, di accrescere il nostro sapere. E, soprattutto, tocca a noi docenti il compito, certo non facile, di avvicinare i nostri allievi ai libri, seminando, nella fase della loro adolescenza, quella curiosità della lettura che possa un giorno spingerli a divenire lettori abituali: sarà un ottimo servizio che avremo fatto all'indipendenza delle loro coscienze e, quando saranno adulti, ce ne saranno grati!

(Ferdinando G. Rotolo, giugno 2012)

domenica 17 giugno 2012

Il fulmine e la quercia: Bellum Civile I, 135-155

Il poema di Lucano, il Bellum Civile o Pharsalia, come viene chiamato, rappresenta di certo una delle tappe più significative della poesia latina dell'età imperiale. Con voi, ragazzi, abbiamo spiegato in classe le novità che l'opera propone rispetto al modello epico tradizionale, rappresentato dall'Eneide di Virgilio. Qui ora vorrei piuttosto soffermarmi con voi su alcuni versi del libro I, nei quali il poeta presenta i due principali contendenti nella guerra civile.
All'inizio del suo poema epico, Lucano, che intende sconvolgere i canoni dell'epica virgiliana tradizionale, ci presenta i due capi dei contrapposti schieramenti che si fronteggiano: da un lato Pompeo, difensore delle antiche libertà repubblicane, dall'altro Cesare, il condottiero bramoso di vittoria e potere che aspira a distruggere la res publica.
Certamente, la simpatia di Lucano va nei confronti di Pompeo, almeno all'inizio del poema, ma egli sa bene che anche Pompeo non è spinto da nobili ideali, ma piuttosto da motivazioni personali. Ebbene, risulta molto significativa la similitudine che all'inizio del libro I viene utilizzata da Lucano. A partire dai versi I, 135 e segg. il poeta paragona Pompeo ad una grande e venerabile quercia, che reca sui rami i doni sacri dei capi, ma non è più in grado di aderire al terreno:

                       Stat magni nominis umbra
qualis frugifero quercus sublimis in agro
exuvias veteris populi sacrataque gestans
dona ducum nec validis radicibus haerens...

Successivamente, ai versi I, 151 e segg. Lucano introduce la figura di Cesare, che viene paragonato ad un fulmine, che brilla e fende il giorno e atterrisce tutti con la sua potenza:

qualiter expressum ventis per nubila fulmen
aetheris inpulsi sonitu mundique fragore
emicuit rupitque diem populos paventes
terruit obliqua praestringens lumina flamma... 

Insomma, Pompeo rappresenta la tradizione con il suo carico di memorie ed onori, ma non sembra in grado di produrre ancora valori in grado di competere con quelli di Cesare, che rappresenta la forza delle nuove classi che aspirano a sovvertire l'ordine aristocratico. 
Come andra a finire?
Beh, è la similitudine stessa a suggerircelo: il fulmine colpirà la quercia e la abbatterà, ossia la fazione cesariana riuscirà ad abbattere il vecchio ordinamento repubblicano e ciò rappresenterà per Roma l'inizio della fine.
Anche qui compare sullo sfondo il pessimismo lucaneo nei confronti della storia, che, a differenza di quanto credeva Virgilio, non è guidata da alcun moto provvidenziale divino, ma è dominata dal caso e spesso non vede prevalere i giusti, ma i malvagi.
Comunque le immagini contrapposte della quercia e del fulmine appaiono molto efficaci.

(Ferdinando G. Rotolo, giugno 2012)