giovedì 27 dicembre 2012

Un anno che finisce

Gli antichi dicevano: "anno bisesto, anno funesto". Beh, non so se avessero ragione, certo questo 2012 se ne va portando con sé un senso di incompiutezza dovuto a parecchi 'lavori in corso;' non portati a compimento: poco male, direbbe uno straniero, prima o poi i traguardi saranno raggiunti. Ma noi italici sappiamo che nel nostro stravagante paese nulla è così definitivo come ciò che apparentemente è provvisorio, dunque c'è poco da stare allegri.
Vorrei ora riepilogare alcune delle cose che in questo anno, ormai moribondo, non mi sono piaciute affatto:

  1. A livello di organizzazione statale, abbiamo assistito ad una nuova burocratizzazione dei meccanismi decisionali, come se i processi riformatori potessero essere codificati fin nelle minuzie e come se i politici non sapessero che il voler fare tutto formalmente perfetto si traduce spesso nel non far proprio un bel nulla; inoltre, dopo aver bandito il vituperato centralismo statale, abbiamo assistito allla nascita di un neo-centralismo regionale non meno deleterio del primo, che, ad esempio, ha recato una gran confusione nella gestione del sistema scolastico;
  2. A livello politico, abbiamo assistito alla ingloriosa ritirata di un'intera classe politica, costretta dalle pressioni internazionali a lasciare il posto ad un governo 'tecnico', la cui assunzione di potere ha rappresentato, al di là delle chiacchiere, la certificazione del sostanziale fallimento della classe politica della cosiddetta 'seconda repubblica', che, quanto a inefficienza e corruzione, ha dimostrato di avere ben poco da invidiare a quella della 'prima';
  3. A livello economico, abbiamo assistito ad una crisi davvero pesante, che ha eroso ricchezza e consumi, soprattutto nella classe media, come dimostrato, ad esempio, dai nefasti dati del mercato dell'auto nel 2012, tornato tristemente in Italia quasi ai livelli degli anni '70 in un paese come il nostro, che faceva del settore dell'auto uno dei suoi vanti;
  4. A livello culturale... beh, che dire di un paese in cui i pregiudizi misogeni sono duri a scomparire, in cui si legge sempre meno, in cui gli studenti  delle scuole superiori si collocano nei posti di retroguardia nelle classifiche internazionali, in cui fare ricerca è un'utopia, in cui librerie e teatri fanno fatica a sopravvivere, mentre fioccano come funghi sul territorio paninoteche e anonimi mega-centri commerciali?
Insomma, i motivi di fiducia e speranza nel futuro non mancano di certo! Speriamo che il 2013, ora che le catastrofiche profezie dei Maya purtroppo sono state smentite,  ci porti qualche positiva novità, anche se, a dire la verità, ho imparato per esperienza, come il passeggiere dell'Operetta Morale di Leopardi, a non guardare con troppo ottimismo all'anno nuovo che arriva!

Ferdinando Giuseppe Rotolo (dicembre 2012)

mercoledì 26 dicembre 2012

Il tempo per leggere

Riflettendo sui dati Nielsen sulla lettura in Italia nel 2012, che evidenziano un calo delle vendite di libri (-7% circa in valore), dopo un 2011 che già era stato un anno negativo (-3,5% in valore), mi vengono in mente le parole che Daniel Pennac ha scritto in Come un romanzo, pubblicato in Italia nel lontano 1993; in quel contesto, Pennac affrontava il tema della volontà di trovare il tempo per leggere, in un mondo frenetico e caotico come il nostro, dove l'essere umano è assillato da mille doveri che sembrano quasi snaturarlo e togliergli il tempo per dedicarsi un po' a sé stesso. Del resto anche i media non fanno molto per invogliare i giovani a riscoprire il piacere della lettura, salvo bombardarli con la pubblicità dello 'straordinario' best-seller del momento, da consumare caldo come un arancino, prima che si raffreddi e finisca cestinato nel dimenticatoio! E se cominciassimo a capire che la lettura è un modo per dilatare il tempo per vivere e per ritrovare noi stessi lontano dal baccano della società e dei media? E se comprendessimo finalmente che la lettura è un modo di essere che poco ha a che vedere col tempo sociale? Rileggiamo insieme le parole significative di Pennac:

Sì, ma a quale dei miei impegni rubare quest’ora di lettura quotidiana? Agli amici? Alla tivù? Agli spostamenti? Alle serate in famiglia? Ai compiti?
Dove trovare il tempo per leggere?
Grave problema.
Che non esiste.
Nel momento in cui mi pongo il problema del tempo per leggere, vuol dire che quel che manca è la voglia. Poiché, a ben vedere, nessuno ha mai tempo per leggere. Né i piccoli, né gli adolescenti, né i grandi. La vita è un perenne ostacolo alla lettura.
“Leggere? Vorrei tanto, ma il lavoro, i bambini, la casa, non ho più tempo…”
“Come la invidio, lei, che ha tempo per leggere!”
E perché questa donna, che lavora, fa la spesa, si occupa dei bambini, guida la macchina, ama tre uomini, frequenta il dentista, trasloca la settimana prossima, trova tempo per leggere e quel casto scapolo che vive di rendita, no?
Il tempo per leggere è sempre tempo rubato. (Come il tempo per scrivere, d’altronde, o il tempo per amare.)
Rubato a cosa?
Diciamo, al dovere di vivere.
È forse questa la ragione per cui la metropolitana - assennato simbolo del suddetto dovere - finisce per essere la più grande biblioteca del mondo.
Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere.
Se dovessimo considerare l’amore tenendo conto dei nostri impegni, chi ci si arrischierebbe? Chi ha tempo di essere innamorato? Eppure, si è mai visto un innamorato non avere tempo per amare?
Non ho mai avuto tempo di leggere, eppure nulla, mai, ha potuto impedirmi di finire un romanzo che mi piaceva.
La lettura non ha niente a che fare con l’organizzazione del tempo sociale. La lettura è, come l’amore, un modo di essere.
La questione non è di sapere se ho o non ho tempo per leggere (tempo che nessuno, d’altronde, mi darà), ma se mi concedo o no la gioia di essere lettore.

Il tempo della lettura, come il tempo dell'amore, è un tempo rubato alla società e regalato a noi stessi, affinché proviamo la gioia di un momento ludico e dis-interessato, svincolato da interessi pratici o materiali.
Appunto, rinunciare alla gioia di essere lettore equivale a rinunciare a vivere un momento straordinario, quello della lettura, in cui usciamo dalla routine quotidiana e ci proiettiamo in una dimensione dilatata nello spazio e nel tempo, nella quale per un attimo proiettiamo un raggio d'infinito sulla nostra vita. Non è una scelta triste, ragazzi?

Ferdinando G. Rotolo (dicembre 2012)