lunedì 13 maggio 2013

La fede, la scienza.


La narrativa pirandelliana rappresenta certamente uno dei vertici più alti della letteratura italiana; in particolare, la raccolta delle Novelle per un anno, costituisce un inesauribile scrigno di risorse per tutti coloro che amano la buona lettura e vogliono godersi un italiano letterario fluente e ben ordinato, ben lontano dalle scritture d’avanguardia che pullularono nel dopoguerra.
Alcune delle novelle contenute nella raccolta, come La carriola, La patente, Tutto per bene, sono notissime al grande pubblico; tuttavia, stavolta vorremmo soffermarci su una novella meno nota, eppure a suo modo significativa, Il vecchio Dio.
In questa novella il protagonista è un uomo anziano che in estate passa il proprio tempo visitando le chiese di Roma. L’autore si preoccupa di sottolineare la semplicità della religiosità del protagonista, il signor Aurelio, grazie alla quale aveva potuto sopportare le tempeste e le delusioni della vita, sicuro che il buon Dio lo custodisse e alla fine lo avrebbe premiato per la sua purezza del cuore.
Ecco dunque che un giorno il sig. Aurelio si reca a visitare una chiesa e dopo aver esaminato le opere d’arte in essa contenute, si assopisce e prende sonno; a quel punto, gli appare in sogno Dio stesso, che quasi si confida con lui e si lamenta! Il buon Dio, nelle sembianze di un malinconico vecchietto barbuto, gli dice che gli uomini hanno smarrito la semplicità di un tempo, perché ora la scienza pretende di dare una spiegazione a tutto e dunque l’uomo di oggi, tecnologicamente avanzato e privato delle sue paure ancestrali, ha capito, finalmente, di non aver più bisogno di Dio:

Mali tempi, figlio mio! Vedi come mi son ridotto? Sto qui a guardia delle panche. Di tanto in tanto, qualche forestiere. Ma non entra mica per Me, sai! Viene a visitar gli affreschi antichi e i monumenti; monterebbe anche su gli altari per veder meglio le immagini dipinte in qualche pala! Mali tempi, figlio mio. Hai sentito? hai letto i libri nuovi? Io, Padre Eterno, non ho fatto nulla: tutto s'è fatto da sé, naturalmente, a poco a poco. Non ho creato Io prima la luce, poi il cielo, poi la terra e tutto il resto, come ti avevano insegnato ne' tuoi gracili anni. Che! che! Non c'entro piú per nulla Io.
Le nebulose, capisci? la materia cosmica... E tutto s'è fatto da sé. Ti faccio ridere: uno c'è stato finanche, un certo scienziato, il quale ha avuto il coraggio di proclamare che, avendo studiato in tutti i sensi il cielo, non vi aveva trovato neppur una minima traccia dell'esistenza mia. Di' un po': te lo immagini questo pover'uomo che, armato del suo canocchiale, s'affannava sul serio a darmi la caccia per i cieli, quando non mi sentiva dentro il suo misero coricino? Ne riderei di cuore, tanto tanto, figliuolo mio, se non vedessi gli uomini far buon viso a siffatte scempiaggini. Ricordo bene quand'Io li tenevo tutti in un sacro terrore, parlando loro con la voce dei venti, dei tuoni e dei terremoti. Ora hanno inventato il parafulmine, capisci? E non mi temono piú; si sono spiegati il fenomeno del vento, della pioggia e ogni altro fenomeno, e non si rivolgono piú a Me per ottenere in grazia qualche cosa.

Insomma, gli uomini, ubriacati dal progresso scientifico e tecnologico, in un delirio di onnipotenza, hanno liquidato il problema di Dio come un non-problema e hanno perso ogni timore reverenziale verso la Divinità, al punto che Dio decide di abbandonare la città e di ritirarsi in campagna, dove ancora sopravvivono le tradizioni e dove la gente è meno smaliziata.

Quali riflessioni suscita in noi questa novella? Certo qui Pirandello, da buon esponente del Decadentismo, prende di mira la scienza; non, ovviamente, quella scienza che vuole limitarsi a risolvere i problemi pratici dell’uomo, ma quella che pretende di dare una spiegazione scientifica di tutto, anche di quegli aspetti della vita che riguardano la morale, la filosofia o la religione. Del resto, leggendo la novella, viene il sospetto che, in fondo, anche gli scienziati che affermano di essere rigorosamente atei, in realtà, nell’interno dei loro laboratori non aspirino che a prendere il posto di Dio, a sentirsi essi stessi Dio, per appagare non tanto la sete di conoscenze, quanto il loro narcisismo smisurato, che, infatti, è stato spesso astutamente sfruttato dai detentori del Potere per spronare gli scienziati a lavorare in funzione delle esigenze della politica.
Ad esempio, mi sono sempre chiesto per quale disinteressato e nobile amore per la conoscenza tanti illustri fisici di varie nazioni, compreso il nostro E. Fermi, abbiano lavorato al Progetto Manhattan, che consentì agli Stati Uniti di allestire la prima bomba atomica…
Contro questa sciocca degenerazione della scienza in scientismo Pirandello lancia la sua umoristica satira (ancora oggi attualissima, se consideriamo gli arditi esperimenti che in nome del ‘progresso’ vengono compiuti oggi con estrema disinvoltura dagli scienziati sulle cellule e persino sui geni dell’uomo), e invita l’uomo moderno ad evitare atteggiamenti ridicoli, come quelli dell’astronomo che, non avendo visto Dio col cannocchiale, afferma con certezza la sua inesistenza: ma, se noi non riusciamo a vedere Dio con il nostro cuore, potremo mai vederlo col cannocchiale?
E dire che Pirandello è stato spesso sbrigativamente catalogato come intellettuale ateo da certa critica…

Ferdinando Giuseppe Rotolo (maggio 2013)

giovedì 2 maggio 2013

Dopo il PD, che cosa?


Bene, cari amici lettori, ora che il PD è meravigliosamente confluito nel governo di larghe intese che ne decreterà, a lungo andare, la fine politica, potremmo approfittarne per porci qualche domanda sul ‘dopo’, ossia su chi o cosa rappresenterà in parlamento quella che un tempo si chiamava ‘sinistra’.  Per fare ciò, però, come il buon Carletto Marx insegnava ai bei tempi, occorrerebbe fare un minimo di analisi; e noi, sommessamente, ci proviamo.
Diciamo la verità: il progetto da cui era nato il PD era tutt’altro che disprezzabile. Esso rappresentava il sogno di creare in Italia un moderno partito di centro-sinistra, riformista, europeista, aperto anche ai movimenti della società civile, ma, al tempo stesso, slegato dalla vecchia cultura politica della sinistra, ormai inutilizzabile.
Ebbene, oggi possiamo dire che quel sogno non si è realizzato, per vari motivi, ma soprattutto perché la sinistra non ha saputo o voluto fare i conti con la sua storia, mantenendo un rapporto ambiguo col suo passato.
In verità, in Italia, nel dopoguerra, la cultura politica socialdemocratica non ha mai avuto larga influenza, in quanto la sinistra era egemonizzata dal più grande partito comunista dell’Europa occidentale, legato politicamente ed economicamente a Mosca; un partito, per intenderci, il cui leader Berlinguer, peraltro politico di gran lunga migliore di quelli attuali, aspettò i fatti di Polonia del 1980 per accorgersi che “la Rivoluzione d’Ottobre ha ormai esaurito la propria spinta propulsiva”…; evidentemente, quando i carri armati russi intervenivano in Ungheria nel 1956 o in Cecoslovacchia nel 1968 egli era ‘distratto’.
I partiti di ispirazione socialista o socialdemocratica hanno sempre rappresentato da noi forze minoritarie nella sinistra, e, del resto, proprio quando la caduta fragorosa del muro di Berlino e del comunismo reale era lì a dimostrare che essi, i tanto vituperati socialisti, avevano avuto ragione sul piano politico e storico, guardacaso arrivò il ciclone ‘tangentopoli’, forse non del tutto endogeno, che li spazzò via nel giro di qualche anno. Ma questa è un’altra storia…
Così, gli ex comunisti si riciclarono rapidamente ed il PCI, divenne prima PDS, poi DS, ma non basta cambiare nome per cambiare cultura politica. Come potevano dirigenti e funzionari, fedeli marxisti da una vita, rinnovarsi in quattro e quattr’otto per divenire riformisti dalla sera alla mattina? Ovviamente, era impossibile, così il PDS-DS si trovava privo di quella cultura politica che gli avrebbe consentito di analizzare i grandi cambiamenti sociali intervenuti dopo la fine della guerra fredda: la crisi istituzionale in Italia, la globalizzazione dell’economia, le nuove esigenze della piccola e media impresa italiana, i mutamenti climatici, l’impatto delle tecnologie nelle aziende e la conseguente trasformazione della vecchia ‘classe operaia’, le nuove forme di comunicazione digitale, il rapporto con l’Europa, e così via.
Dinanzi a questi nuovi scenari, la classe dirigente del PDS-DS non ha capito proprio un bel nulla, assumendo posizioni apparse ai più di retroguardia, se non conservatrici,  e lasciando così che fosse sempre il centro-destra a dettare astutamente, di fatto, l’agenda politica dinanzi all’opinione pubblica, mentre il centro-sinistra inseguiva, arrancando in modo confuso e spesso contraddittorio.
Da questa crisi era nato il PD, cioè il partito che avrebbe dovuto amalgamare al proprio interno l’anima ex-comunista e quella del cattolicesimo progressista, che proveniva dalla ex sinistra DC. Oggi, possiamo dire che quelle due anime non si sono mai fuse e che, anzi, la storia interna del PD ha assunto spesso i connotati della lotta interna tra bande, fazioni, correnti e correntine, sempre più sorde alle istanze provenienti dalla società civile e scioccamente autoreferenziali. I risultati elettorali del 2013 non sono altro che l’ultima certificazione del fallimento politico di quel progetto che si chiamava PD e che, come detto in apertura, arriverà al definitivo de profundis, quando quel volpone di Zio Silvio avrà deciso di staccare la spina ad un governo di cui egli è, sotto sotto, il vero padrone.
 
 
E così torniamo alla domanda iniziale: quando il PD imploderà, con cosa lo sostituiremo?
A nostro modesto parere, bisogna partire dal principio che la sinistra, se vuole sopravvivere in Italia, non potrà che divenire plurale, il che significa che occorrerà creare una federazione di partiti che possa collegare insieme le due anime fondamentali dell’area progressista: da una parte un’anima più legata alla tradizione ‘socialdemocratica’ tradizionale, dall’altra un’anima più ‘movimentista’. Pensare di continuare a tenerle insieme a forza è una pura illusione, perciò tanto vale dividersi in modo palese e alla luce del sole, senza stupide faide di palazzo.
Poi c’è la questione programmatica. Le primarie, in una simile coalizione federata, sarebbero incentrate più sui programmi che sugli uomini, evitando il rischio di divenire un rituale vuoto, che serve solo alla perpetuazione del gruppo dirigente.
E quali punti programmatici dovrebbero essere discussi? Almeno quattro.
  1. La riforma istituzionale. Piaccia o no, ormai siamo entrati in un presidenzialismo di fatto, necessario a colmare il vuoto generato dalla crisi irreversibile dei partiti. Vogliamo finalmente discutere senza tabù su questo ed elaborare una visione progressista del presidenzialismo o lasciamo, come al solito, questo argomento al centro-destra?
  2. Lo stato sociale. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che lo stato sociale di vecchio stampo, un tempo abbastanza efficace, nelle condizioni attuali, è insostenibile. Vogliamo finalmente elaborare un progetto di riforma vera del welfare, prima che esso imploda completamente, lasciando sul terreno solo macerie?
  3. Il federalismo. Ormai le differenze socio-economiche tra le varie regioni d’Italia sono tante e tali, che il nostro è un paese unito solo sulla cartina geografica; nel momento in cui la Campania ha denunciato nel 2012 un tasso di disoccupazione del 15,5%  contro il 5% del Veneto (dati ISFOL), oppure la Lombardia ha registrato nel 2012 (dati Infocamere) ben 821.819 imprese attive, contro le sole 155.502 della Calabria, di quale razza di unità della nazione stiamo parlando? Non sarebbe ora, anche a sinistra, di lavorare su una seria riforma federale dello Stato che possa aggregare tra loro regioni omogenee per economia e società? O chiudiamo gli occhi e lasciamo che sia la Lega ad occuparsene?
  4. Istruzione e ricerca. Una classe politica di media intelligenza dovrebbe capire che questi sono settori strategici per un paese, dunque dovrebbe investire più risorse in essi, anziché ridurle sistematicamente, come si è stupidamente fatto in questi anni. Tali investimenti, però, non dovrebbero essere fatti ‘a pioggia’, ma dovrebbero da un lato, premiare gli atenei migliori e le scuole migliori, cioè quelle istituzioni culturali capaci di fare ‘vera’ ricerca e ‘vera’ innovazione, esattamente come avviene all’estero; dall’altro, offrire un sostegno alle scuole o alla università che operano in contesti sociali particolarmente difficili. Anche su questo argomento, la sinistra sembra piuttosto in ritardo, dato che, per decenni, la parola meritocrazia è stata pressocché assente dal suo dizionario.
Come si vede, gli argomenti per discutere all’interno della sinistra sono parecchi. La domanda, piuttosto, è: la sinistra avrà davvero la forza per avviare una discussione programmatica seria o preferirà, come al solito, inseguire cambiamenti gattopardeschi che non portano da nessuna parte? Per i progressisti la posta in gioco è davvero alta: o sopravvivere o scomparire definitivamente.

Ferdinando G. Rotolo (maggio 2013)

sabato 2 marzo 2013

Le Idi di Marzo.


Spesso nel corso della Storia le correnti di pensiero elaborate dalla riflessione umana hanno dovuto confrontarsi con i grandi avvenimenti che hanno segnato le grandi svolte delle vicende degli uomini. Il fluire degli avvenimenti, infatti, di tanto in tanto, perviene a dei punti di rottura, che rappresentano dei veri e propri spartiacque della vicenda umana, cioè delle svolte che segnano la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova, e che spesso sono rappresentate da guerre, che, mentre distruggono un mondo passato, ne aprono uno nuovo: le guerre puniche nel caso della Storia antica, dopo le quali Roma assunse il ruolo, per lei del tutto nuovo, di potenza mediterranea; oppure le guerre di religione nell’Europa moderna, che contribuirono alla nascita di nuovi stati borghesi; o anche le guerre mondiali, che contribuirono al declino politico del vecchio continente.
Ebbene, ogni volta che queste svolte epocali si sono presentate agli individui, si sono sempre fronteggiate tra loro due opposte tendenze: quella propria di chi, guardando indietro, ha sognato la conservazione dei vecchi equilibri e quella di chi, invece, ha cercato di costruirne di nuovi. Insomma, si è sempre presentato dinanzi agli occhi l’eterno conflitto tra conservatori e progressisti, che magari hanno assunto nomi diversi nel corso delle varie epoche, ma al fondo sono sempre stati animati dallo stesso contrasto ideale (e di interessi).
La cosa più interessante, però, è osservare che questo stesso schema si è riproposto anche nella storia delle idee, nella storia della cultura, che è stata anch’essa terreno di scontro (e talora d’incontro) tra correnti di pensiero differenti o addirittura contrapposte: spiritualisti contro materialisti, romantici contro illuministi, marxisti contro liberali, e così via. E proprio attraverso questa dialettica che la storia della cultura si è sviluppata nel corso dei secoli, in un interscambio fecondo tra punti di vista differenti. Tutto ciò, però, non è stato indolore, né potrà mai esserlo, dal momento che le diverse ideologie sono espressione, dal punto di vista sociale, di differenti interessi contrapposti che si fronteggiano con tutte le armi disponibili: la propaganda, la persuasione più o meno occulta, l’indottrinamento, perfino la violenza.
E il ruolo dell’intellettuale? Beh, se affermassimo che gli intellettuali hanno sempre assunto un ruolo di puntuale critica degli assetti esistenti o di costruttori di nuovi scenari culturali e sociali, diremmo una grossa inesattezza: troppe volte, nel corso dei secoli, gli intellettuali si sono ‘adattati’ all’esistente e si sono comodamente sistemati al servizio delle classi al potere, come, ad esempio, i poeti di corte del ‘500 e del ‘600, pronti a tessere le lodi del Principe presso cui erano ospitati e ben attenti a non scrivere nulla che potesse irritarlo, o certi ‘giornalisti’ contemporanei, pronti a dare in pasto al pubblico notizie sostanzialmente insulse, ma utili allo scopo di distrarre l’opinione pubblica dai reali problemi della società.
Certo, la mancanza di libertà d’espressione ha influito in modo determinante sulla possibilità degli intellettuali d’incidere positivamente sulla società. Nei regimi assolutistici, dove la libertà, di fatto, non esiste, non è davvero facile far circolare nuove idee. Come afferma l’autore del Dialogus de oratoribus, dove non c’è libertà di parola, non può esserci grande eloquenza, né possono esserci grandi oratori, perché il dibattito culturale ha bisogno, per svilupparsi, di libere discussioni, di dialoghi tra culture, di scambio dialettico di idee. E, dove esistono regimi dispotici, tutto questo non può avvenire e chi ha provato ad opporsi a questo stato di cose ha pagato di persona, divenendo martire della libertà: Seneca, Giordano Bruno, Tommaso Moro, Gobetti, Gramsci.
Ma esiste un altro problema. Anche là dove esiste un’apparente democrazia, l’intellettuale spesso trova difficoltà ad affermare le proprie idee, quando queste vanno contro le opinioni correnti, perché la massa, intorpidita dall’abitudine alle verità preconfezionate astutamente coltivate da chi gestisce il potere, guarda con fastidio a quegli intellettuali che hanno il coraggio di analizzare criticamente la realtà e di proporre strade nuove.
Quando, nella tragedia Medea, Euripide fa dire alla protagonista che coloro che portano idee nuove e sapienti alla massa vengono considerati, nella migliore delle ipotesi, degli sciocchi perditempo, il poeta non si riferisce solo alla protagonista della tragedia, mal vista dal re di Corinto perché donna colta ed esperta di arti magiche, ma pensa anche a sé stesso e alle notevoli difficoltà incontrate da un intellettuale anticonformista come lui nella Atene democratica del V° secolo a. C. dove l’attaccamento alle tradizioni era ancora forte. Del resto, il compito di un intellettuale diventa molto difficile, quando nel popolo subentra la stanchezza verso la politica e prevale il ripiegamento nel privato. Infatti, affinché l’intellettuale possa intervenire in modo dinamico sulla realtà, occorre che ci sia non solo libertà di parola, ma anche libertà ‘di ascolto’, intesa come possibilità di libera scelta di valori da parte della comunità. Tuttavia, ieri come oggi, quando prevalgono nel popolo i condizionamenti di una communis opinio che addita come unici obiettivi della vita il successo, il denaro, il potere e il piacere, allora l’intero sistema sociale non individua altro scopo se non quello di perpetuare sé stesso e i suoi privilegi di classe (o di casta, come si dice oggi). In un contesto simile, l’intellettuale, quello vero, viene respinto come un corpo alieno, perché la sua testimonianza, la sua ricerca faticosa di una prospettiva sociale e culturale nuova risulta scomoda per il Potere e per la massa, sia pure per ragioni diverse. Il sapere critico promuove il progresso, che rappresenta la possibilità di un mutamento; esso è naturalmente un rischio, ma anche una necessità storica.
Ed arriviamo così al titolo di questo post, dedicato alle famose Idi di marzo del 44 a. C. , quando un gruppo di congiurati uccise Cesare a tradimento: uno sciocco manipolo di reazionari, che sognavano, a suon di pugnalate, di ripristinare il vecchio stato oligarchico repubblicano, unitamente agli sfacciati privilegi di cui godeva la vecchia classe aristocratica senatoria romana, il cui potere Cesare, grande uomo politico e grande intellettuale, aveva iniziato a corrodere dall’interno. E  ogni volta che le forze più conservatrici, in contesti diversi, hanno usato la violenza per impedire il cambiamento, le Idi di marzo si sono ripetute più volte con vittime diverse, ma tutte accomunate dal sogno di offrire una speranza di rinnovamento: Gandhi, Martin Luther King, Itzaac Rabin. Come i bravi reazionari di ogni epoca, i cesaricidi si illudevano di fermare la Storia con la violenza, ma, come i bravi reazionari di ogni epoca, fallirono. 

Ferdinando G. Rotolo (febbraio 2013)

martedì 26 febbraio 2013

Vincitori e vinti


Bene, cari amici, dopo la ‘tempesta’ elettorale di questi giorni, che ha lasciato sul campo vari feriti e molte macerie, proviamo a fare qualche riflessione, sia pure ‘col senno del poi’, su quanto è accaduto, con particolare riguardo a quel vero e proprio paese delle meraviglie che è, oggi, il Partito Democratico, altrimenti noto come PD (ognuno usi le lettere come acronimo di ciò che preferisce…), che, dato per stra-vincente alla vigilia, si ritrova con una vittoria risicata alla Camera (rafforzata solo dal premio di maggioranza) e con una situazione di caos al Senato (dove la maggioranza semplicemente non esiste) grazie ad una brillante leadership che nell’ultimo anno ha imbroccato una serie incredibile di cantonate.
Guardando agli avvenimenti dell’ultimo periodo, da elettore di area progressista, potrei fare in sintesi le seguenti riflessioni:
  1. Sbagliato è stato, da parte del PD, in occasione delle dimissioni, più o meno spontanee, di Zio Silvio, non chiedere che si andasse subito alle elezioni, quando il PDL (altro acronimo a piacere…), privato della guida del Capo, era politicamente moribondo e lacerato da lotte intestine palesi e occulte.
  2. Sbagliato è stato, da parte del PD, accettare di fare da stampella al governo ‘tecnico’ che ha guidato il paese per un anno con una politica fatta di tagli, sacrifici e tasse. Per carità, si trattava di provvedimenti magari necessari, ma il problema è che un cittadino accetta di fare sacrifici, anche dolorosi, quando in cambio una classe politica sia in grado di offrirgli una prospettiva di sviluppo. In realtà, i cittadini hanno percepito duramente sulla propria pelle il peso degli uni, ma non hanno visto neppure l’ombra dell’altra, col risultato di nutrire una sempre maggiore antipatia per il governo dei ‘professoroni’ e. per la proprietà transitiva, anche per chi non solo lo ha fedelmente sostenuto, ma anche ingenuamente cercato, in campagna elettorale, di lanciare ‘ponti’ verso la lista Monti, che, non a caso, è stata poi, sostanzialmente, bocciata dagli elettori.
  3. Sbagliato è stato, da parte del PD, sottovalutare le capacità di ripresa di Zio Silvio, che ha condotto una campagna elettorale magistrale, dissociandosi completamente dalle scelte di Monti, che pure aveva sostenuto, e venendo così incontro agli umori della ‘pancia’ dell’elettorato, grazie anche alla proposta ad effetto sull’IMU. Si ha un bel dire che essa era una trovata pubblicitaria, come sostenuto dai genietti del vertice PD, ma il problema è che l’elettore ha ricevuto una proposta ‘forte’ comunque legata a temi concreti, mentre dall’altra parte il PD, anziché elaborare un’offerta alternativa legata sempre alla vita quotidiana dei cittadini, ha solo sparato a zero sulla proposta, accusandola di demagogia, ma non ha saputo offrire in alternativa un bel nulla, e, tra la propaganda e il nulla, il popolo di solito non sceglie il nulla…
  4. E, soprattutto, sbagliato è stato, da parte del PD sottovalutare, o meglio, non aver capito affatto la forza dirompente del Movimento 5 Stelle, che ha saputo canalizzare la fortissima richiesta di radicale rinnovamento della società e della politica che sale dall’opinione pubblica, nauseata da una classe politica inefficiente, arrogante e corrotta. Anche sui temi che stanno a cuore al movimento, cioè la riduzione dei costi della politica, l’esosità del fisco, gli sprechi di denaro pubblico, i conflitti d’interesse, le tecnologie ‘verdi’, il PD ha dimostrato di essere timido ed impacciato, col risultato che il M5S ha pescato parecchi voti anche a sinistra. Qualche anno fa il buon Fassino ironizzava con una certa sufficienza su Grillo e sul suo movimento… chissà se oggi avrebbe il coraggio di fare la stessa ironia!
Come vedete, amici, i risultati elettorali sono stati un vero e proprio terremoto, con un  parlamento paralizzato ed una situazione assolutamente confusa. E adesso, cosa s’inventeranno i maestri di strategia del PD per uscire dal vicolo cieco? Avranno il coraggio di cercare un accordo, magari su pochi punti fondamentali, con il M5S ? Cercheranno un accordo con il PDL, col rischio di un quasi certo suicidio politico? Per ora è difficile fare previsioni, ma come diceva Mao, “grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente!”

Ferdinando G. Rotolo (febbraio 2013)