sabato 2 marzo 2013

Le Idi di Marzo.


Spesso nel corso della Storia le correnti di pensiero elaborate dalla riflessione umana hanno dovuto confrontarsi con i grandi avvenimenti che hanno segnato le grandi svolte delle vicende degli uomini. Il fluire degli avvenimenti, infatti, di tanto in tanto, perviene a dei punti di rottura, che rappresentano dei veri e propri spartiacque della vicenda umana, cioè delle svolte che segnano la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova, e che spesso sono rappresentate da guerre, che, mentre distruggono un mondo passato, ne aprono uno nuovo: le guerre puniche nel caso della Storia antica, dopo le quali Roma assunse il ruolo, per lei del tutto nuovo, di potenza mediterranea; oppure le guerre di religione nell’Europa moderna, che contribuirono alla nascita di nuovi stati borghesi; o anche le guerre mondiali, che contribuirono al declino politico del vecchio continente.
Ebbene, ogni volta che queste svolte epocali si sono presentate agli individui, si sono sempre fronteggiate tra loro due opposte tendenze: quella propria di chi, guardando indietro, ha sognato la conservazione dei vecchi equilibri e quella di chi, invece, ha cercato di costruirne di nuovi. Insomma, si è sempre presentato dinanzi agli occhi l’eterno conflitto tra conservatori e progressisti, che magari hanno assunto nomi diversi nel corso delle varie epoche, ma al fondo sono sempre stati animati dallo stesso contrasto ideale (e di interessi).
La cosa più interessante, però, è osservare che questo stesso schema si è riproposto anche nella storia delle idee, nella storia della cultura, che è stata anch’essa terreno di scontro (e talora d’incontro) tra correnti di pensiero differenti o addirittura contrapposte: spiritualisti contro materialisti, romantici contro illuministi, marxisti contro liberali, e così via. E proprio attraverso questa dialettica che la storia della cultura si è sviluppata nel corso dei secoli, in un interscambio fecondo tra punti di vista differenti. Tutto ciò, però, non è stato indolore, né potrà mai esserlo, dal momento che le diverse ideologie sono espressione, dal punto di vista sociale, di differenti interessi contrapposti che si fronteggiano con tutte le armi disponibili: la propaganda, la persuasione più o meno occulta, l’indottrinamento, perfino la violenza.
E il ruolo dell’intellettuale? Beh, se affermassimo che gli intellettuali hanno sempre assunto un ruolo di puntuale critica degli assetti esistenti o di costruttori di nuovi scenari culturali e sociali, diremmo una grossa inesattezza: troppe volte, nel corso dei secoli, gli intellettuali si sono ‘adattati’ all’esistente e si sono comodamente sistemati al servizio delle classi al potere, come, ad esempio, i poeti di corte del ‘500 e del ‘600, pronti a tessere le lodi del Principe presso cui erano ospitati e ben attenti a non scrivere nulla che potesse irritarlo, o certi ‘giornalisti’ contemporanei, pronti a dare in pasto al pubblico notizie sostanzialmente insulse, ma utili allo scopo di distrarre l’opinione pubblica dai reali problemi della società.
Certo, la mancanza di libertà d’espressione ha influito in modo determinante sulla possibilità degli intellettuali d’incidere positivamente sulla società. Nei regimi assolutistici, dove la libertà, di fatto, non esiste, non è davvero facile far circolare nuove idee. Come afferma l’autore del Dialogus de oratoribus, dove non c’è libertà di parola, non può esserci grande eloquenza, né possono esserci grandi oratori, perché il dibattito culturale ha bisogno, per svilupparsi, di libere discussioni, di dialoghi tra culture, di scambio dialettico di idee. E, dove esistono regimi dispotici, tutto questo non può avvenire e chi ha provato ad opporsi a questo stato di cose ha pagato di persona, divenendo martire della libertà: Seneca, Giordano Bruno, Tommaso Moro, Gobetti, Gramsci.
Ma esiste un altro problema. Anche là dove esiste un’apparente democrazia, l’intellettuale spesso trova difficoltà ad affermare le proprie idee, quando queste vanno contro le opinioni correnti, perché la massa, intorpidita dall’abitudine alle verità preconfezionate astutamente coltivate da chi gestisce il potere, guarda con fastidio a quegli intellettuali che hanno il coraggio di analizzare criticamente la realtà e di proporre strade nuove.
Quando, nella tragedia Medea, Euripide fa dire alla protagonista che coloro che portano idee nuove e sapienti alla massa vengono considerati, nella migliore delle ipotesi, degli sciocchi perditempo, il poeta non si riferisce solo alla protagonista della tragedia, mal vista dal re di Corinto perché donna colta ed esperta di arti magiche, ma pensa anche a sé stesso e alle notevoli difficoltà incontrate da un intellettuale anticonformista come lui nella Atene democratica del V° secolo a. C. dove l’attaccamento alle tradizioni era ancora forte. Del resto, il compito di un intellettuale diventa molto difficile, quando nel popolo subentra la stanchezza verso la politica e prevale il ripiegamento nel privato. Infatti, affinché l’intellettuale possa intervenire in modo dinamico sulla realtà, occorre che ci sia non solo libertà di parola, ma anche libertà ‘di ascolto’, intesa come possibilità di libera scelta di valori da parte della comunità. Tuttavia, ieri come oggi, quando prevalgono nel popolo i condizionamenti di una communis opinio che addita come unici obiettivi della vita il successo, il denaro, il potere e il piacere, allora l’intero sistema sociale non individua altro scopo se non quello di perpetuare sé stesso e i suoi privilegi di classe (o di casta, come si dice oggi). In un contesto simile, l’intellettuale, quello vero, viene respinto come un corpo alieno, perché la sua testimonianza, la sua ricerca faticosa di una prospettiva sociale e culturale nuova risulta scomoda per il Potere e per la massa, sia pure per ragioni diverse. Il sapere critico promuove il progresso, che rappresenta la possibilità di un mutamento; esso è naturalmente un rischio, ma anche una necessità storica.
Ed arriviamo così al titolo di questo post, dedicato alle famose Idi di marzo del 44 a. C. , quando un gruppo di congiurati uccise Cesare a tradimento: uno sciocco manipolo di reazionari, che sognavano, a suon di pugnalate, di ripristinare il vecchio stato oligarchico repubblicano, unitamente agli sfacciati privilegi di cui godeva la vecchia classe aristocratica senatoria romana, il cui potere Cesare, grande uomo politico e grande intellettuale, aveva iniziato a corrodere dall’interno. E  ogni volta che le forze più conservatrici, in contesti diversi, hanno usato la violenza per impedire il cambiamento, le Idi di marzo si sono ripetute più volte con vittime diverse, ma tutte accomunate dal sogno di offrire una speranza di rinnovamento: Gandhi, Martin Luther King, Itzaac Rabin. Come i bravi reazionari di ogni epoca, i cesaricidi si illudevano di fermare la Storia con la violenza, ma, come i bravi reazionari di ogni epoca, fallirono. 

Ferdinando G. Rotolo (febbraio 2013)