mercoledì 31 dicembre 2014

2015: less is more!

Ogni volta che un anno volge al termine, tutti facciamo un bilancio di quello che ci è accaduto nel corso dell'anno e formuliamo speranze, più o meno fondate, per l'anno che verrà. In effetti, se guardiamo all'anno appena trascorso, non troviamo molte cose di cui andar fieri: problemi sociali che rischiano di diventare ingovernabili, una crisi economica che morde i cittadini come non accadeva da decenni, un raffredamento rapido delle relazioni internazionali tra occidente e Russia (o meglio tra USA e Russia) che non lascia presagire nulla di buono per il futuro e, soprattutto, tanto individualismo, tanta solitudine, tanta sofferenza fisica e morale.
Alla luce di ciò, cosa possiamo augurarci di buono per il nuovo anno? Dinanzi al quadro desolante che offre il mondo, saremmo autorizzati ad un cupo pessimismo. Eppure...

Alcuni mesi fa, la TV ha ritrasmesso un film del 1968, Duello nel pacifico, del regista inglese John Boorman. Il film narra la storia di due soldati, un soldato americano (interpretato da Lee Marwin) e un marinaio giapponese (interpretato da Toshiro Mifune) che, nel pieno della seconda guerra mondiale si ritrovano da soli in uno sperduto isolotto del Pacifico. I due, appartenenti a due eserciti nemici e soprattutto a due culture completamente diverse, per un po' di tempo lottano l'uno contro l'altro una sorta di guerra privata, ma poi, a poco a poco, per sopravvivere in mezzo ad una natura selvaggia che possiede grandi risorse, ma che non regala nulla gratis, lontani dalle infrastutture ideologiche in cui sono stati collocati prima, sono costretti a collaborare e, sorprendentemente, capiscono che, in fondo, non hanno alcun motivo per combattersi realmente e che possono collaborare insieme. Infatti costruiscono insieme una zattera con cui approdano in un'altra isola, dove trovano materiale dei loro rispettivi eserciti. Qui però la loro collaborazione finisce, perché rientrati nei 'ruoli' di appartenenza, essi ritornano 'nemici', finché un'esplosione enorme (forse una bomba sganciata da un aereo) non distrugge tutto.

Una scena del film 'Duello nel Pacifico' (1968)

Ebbene, il messaggio del film è chiaro: l'uomo non è, di per sé, necessariamente avido, egoista, individualista, portato alla sopraffazione, anzi, collocato in uno stato di natura 'radicale', lontano dai falsi valori del mondo 'civilizzato' è portato naturalmente a fraternizzare con i suoi simili; certo, tali tendenze negative sono implicite nella sua natura, ma divengono esplicite e si traducono in comportamenti distruttivi, solo perché le infrastutture economiche, sociali, culturali lo spingono a agire in un certo modo, insegnandogli che, in fondo,  essere altruisti è segno di debolezza, che l'altro è invece un nemico da combattere ad ogni costo, che la collaborazione vale molto meno della competizione, che le cose più belle e più nobili della vita, (la virtute e conoscenza di cui parlava Dante) degne davvero dell'essere umano, contano poco e che l'unica cosa che realmente ha importanza è il possesso smisurato di beni di consumo.
Ecco, nonostante oggi non manchino (fondati) motivi di preoccupazione, vorrei augurare a tutti per il  nuovo  anno di avere il tempo e la volontà di dare più spazio alla propria interiorità, di  avere il coraggio 'staccarsi' dal rumore assordante nella nostra materialistica civilità del benessere e dei suoi vuoti miti e di riscoprire e mettere in atto quei princìpi di vita che sono realmente umani e che sopravvivono dentro di noi, nonostante tutto: la cultura, l'amicizia, la solidarietà, la spiritualità. Insomma di abbandonare per strada il superfluo, per mantenere saldamente l'essenziale. 
Se ciò avverrà, forse il nuovo anno sarà davvero migliore del precedente e, soprattutto,  diverremo migliori noi stessi.

Ferdinando G. Rotolo (dicembre 2014)

giovedì 25 dicembre 2014

Natale tutto l'anno?

Anche quest'anno è arrivato il Natale. Per celebrare questa festa, anni or sonoil poeta Guido Gozzano compose una celebre poesia, nella quale, col suo solito leggero umorismo, celebrava, a modo suo, la nascita del Messia atteso dal popolo d'Israele. Anche oggi può essere interessante rileggere questa filastrocca, solo apparentemente leggera e composta per i bambini; infatti, anche attraverso l'ironia garbata e sottile, spesso è possibile comunicare al pubblico cose molto serie e tutt'altro che superficiali.
In mezzo alle tenebre di un mondo sempre più imbarbarito dall'individualismo esasperato e dall'edonismo ottuso che mirano, più o meno occultamente, ad eliminare la dimensione spirituale dell'essere umano, la Sacra Famiglia, nella quale si respirava ogni giorno l'Amore vero, quello che nasce dalla purezza genuina del cuore e non si fa ingannare né dalle astute lusinghe del male né dagli sciocchi pregiudizi degli uomini, aiuti anche oggi tutti noi a seguire sempre la strada giusta, per portare, non solo a Natale, ma durante tutto l'anno, la Luce del Bene nella nostra vita quotidiana ed essere sempre testimoni di una Speranza che va ben al di là dei preconfezionati e, in fondo, falsi paradisi artificiali offerti in questi giorni dalle scintillanti vetrine dei negozi che illuminano le nostre confuse e aride città.

La Notte Santa (di Guido Gozzano)
Consolati, Maria, del tuo pellegrinare! Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.
Presso quell'osteria potremo riposare, ché troppo stanco sono e troppo stanca sei.
Il campanile scocca lentamente le sei.
- Avete un po' di posto, o voi del Caval Grigio? Un po' di posto per me e per Giuseppe?
- Signori, ce ne duole: è notte di prodigio; son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe
Il campanile scocca lentamente le sette.
- Oste del Moro, avete un rifugio per noi? Mia moglie più non regge ed io son così rotto!
- Tutto l'albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi: Tentate al Cervo Bianco, quell'osteria più sotto.
Il campanile scocca lentamente le otto.
- O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno avete per dormire? Non ci mandate altrove!
- S'attende la cometa. Tutto l'albergo ho pieno d'astronomi e di dotti, qui giunti d'ogni dove.
Il campanile scocca lentamente le nove.
Ostessa dei Tre Merli, pietà d'una sorella! Pensate in quale stato e quanta strada feci!
- Ma fin sui tetti ho gente: attendono la stella. Son negromanti, magi persiani, egizi, greci...
Il campanile scocca lentamente le dieci.
Oste di Cesarea... - Un vecchio falegname? Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente? L'albergo è tutto pieno di cavalieri e dame non amo la miscela dell'alta e bassa gente.
Il campanile scocca le undici lentamente.
La neve! - ecco una stalla! - Avrà posto per due? - Che freddo! - Siamo a sosta
- Ma quanta neve, quanta! Un po' ci scalderanno quell'asino e quel bue...
Maria già trascolora, divinamente affranta...
Il campanile scocca La Mezzanotte Santa.
È nato! Alleluja! Alleluja! È nato il Sovrano Bambino. La notte, che già fu sì buia, risplende d'un astro divino. Orsù, cornamuse, più gaie suonate; squillate, campane! Venite, pastori e massaie, o genti vicine e lontane! Non sete, non molli tappeti, ma, come nei libri hanno detto da quattro mill'anni i Profeti, un poco di paglia ha per letto.
Per quattro mill'anni s'attese quest'ora su tutte le ore. È nato! È nato il Signore! È nato nel nostro paese! Risplende d'un astro divino La notte che già fu sì buia. È nato il Sovrano Bambino. È nato! Alleluja! Alleluja!

Ferdinando G. Rotolo (dicembre 2014)

domenica 19 ottobre 2014

L'inganno del relativismo culturale.

 Nel mondo globalizzato di oggi, uno dei principi che maggiormente oggi vengono predicati attraverso i media, pare con discreto successo, è quello del cosiddetto ‘relativismo culturale’; secondo tale principio, non esisterebbero valori assoluti, in quanto ogni civiltà, nel corso del suo sviluppo storico, arriva ad elaborare una propria ‘visione’ del mondo, con una propria gerarchia di valori, che ha la stessa validità delle ‘visioni’ elaborate da altre civiltà in altri tempi e luoghi.
Dunque, i modelli culturali elaborati da una civiltà non devono necessariamente essere ‘migliori’ di quelli elaborati da un’altra civiltà, perché ognuna di esse elabora i propri principi, valori, credenze, idee e sulla base di essi si struttura in un determinato contesto storico. Pertanto, bisognerebbe educare alla diversità, all’alterità, perché le differenze tra individui sono prevalenti rispetto ai tratti comuni e non esistono valori universali assoluti che prescindano dalle diverse culture storicamente formatesi.
Ora, tutto questo sembra apparentemente molto democratico e progressista, specie se confrontato con le tendenze assunte in passato della cultura occidentale, che ai tempi del colonialismo anglosassone e ispanico forniva una giustificazione ideologica al bieco imperialismo coloniale attraverso la favoletta della missione di recare la ‘civiltà’ ai ‘selvaggi’ dell’America o dell’Africa. Tuttavia il modello culturale del relativismo, tanto oggi pubblicizzato dai media, in fondo cosi tanto democratico e progressista poi non è.
Se infatti ogni civiltà elabora in proprio una sua cultura, sulla base della quale struttura i suoi valori, che necessariamente sono differenti da quelli di altre culture, non solo sul piano quantitativo, ma anche su quello qualitativo, come potranno queste culture dialogare tra loro?
Se, come affermava Oswald Spengler nella sua famosissima opera Der Untergang des Abendlandes (1923), una umanità con caratteri comuni esiste solo a livello elementare, zoologico, mentre a livello storico essa non esiste, ma cede il passo a gruppi umani qualitativamente distinti in base a fattori esclusivamente culturali, indipendenti e separati tra loro, come organismi autonomi dotati di valori differenti, come potranno mai questi organismi instaurare rapporti positivi tra loro?
In realtà, una volta affermato il principio che non esiste una umanità spirituale universale che si pone al di sopra delle pur innegabili differenze storico-culturali, ideale caro a Kant, filosofo non a caso aspramente contestato da Spengler, ma si sostiene che i valori hanno senso e significato solo all’interno di una determinata civiltà, allora il rischio è che ogni civiltà eriga delle barriere insormontabili rispetto alle altre, determinando una sorta di ‘terra di nessuno’ tra le culture, in cui prevalgono l'incomunicabilità, la diffidenza, se non l’aperta ostilità distruttiva.
Così, ad esempio, dopo la fine della guerra fredda ed il crollo dell'URSS, proprio mentre le etnie locali, per decenni oppresse e annullate sotto la cappa asfissiante del comunismo realizzato, trovavano finalmente lo spazio e l'occasione di affermare dinanzi al resto del mondo la propria identità e la propria cultura, abbiamo assistito al fiorire nell'est europeo di esasperate spinte nazionalistiche, che hanno dato vita a conflitti anche aspri: nella ex-Jugoslavia, nel Caucaso, nelle repubbliche baltiche, nell'Ucraina. Si è così realizzata la profezia della storiografa Marie Helene d'Encausse, che nel 1981 nel suo saggio Decline of an Empire, aveva previsto che l'impero sovietico, a lungo andare, sarebbe stato prima corroso e poi distrutto dai nazionalismi interni.
Ecco allora che oggi si palesa il rischio che il relativismo culturale, nato con l’intento di combattere l’etnocentrismo, finisca, paradossalmente, per dargli cospicuo alimento, giustificando chiusure e conflitti tra i popoli. Come affermava il popperiano Ian Jarvie nel suo Rationalism and relativism (1983), dietro la facciata del relativismo non è difficile intravedere il fantasma del nichilismo e quello di una umanità spezzettata, frantumata in tante unità differenziate e incomunicabili, ognuna delle quali appare intenta a difendere la 'bandierina 'dei propri valori, che, all’interno della singola comunità appaiono assoluti e indiscutibili: da qui al conflitto tra culture e, magari, tra i popoli, purtroppo, il passo è piuttosto breve.

Ferdinando G. Rotolo (ottobre 2014)

lunedì 8 settembre 2014

Perché si scrive?


Perché si scrive? Perché tante persone hanno voglia di mettere per iscritto su carta, su un libro, sul PC, su un blog, su un ebook, pensieri, emozioni, riflessioni di piccola o grande rilevanza?
Ci si cimenta nel misterioso 'gioco' della scrittura  creativa  per svariati motivi.
Si scrive, per ‘pensare a voce alta’, unendo il duplice piacere di parlare a sé stessi e agli altri;
si scrive, per provare l’emozione di partire per un viaggio, lungo o breve, pur restando sempre fermi nello stesso posto;
si scrive, per provare il piacere di maneggiare la lingua nelle sue varie sfumature, sempre meno apprezzate dal linguaggio massificato, appiattito e scialbo, dei media;
si scrive, per tentare di alleggerire con le parole la pesantezza opprimente del vivere quotidiano, spesso troppo grigio e avaro di gratificazioni;
si scrive, per dare alla luce una creatura che, una volta nata, non appartiene più soltanto al suo autore, ma anche e soprattutto ai lettori;
si scrive, per non rinunciare mai alla ricerca, forse vana, ma pur sempre affascinante, di un Ordine superiore che si celi dietro l’apparente caos della vita;
si scrive, per sognare di costruire, almeno con le parole, nei sentieri della fantasia, un mondo diverso, in cui il denaro non sia l’esclusivo e definitivo parametro su cui misurare il valore della persona.
Scrivono tutti, professionisti acclamati e dilettanti sconosciuti (‘coloro che provano diletto’), ed è giusto che sia così: la lingua, la cultura, il sapere, non dovrebbero essere patrimonio esclusivo di una ristretta cerchia di ‘eletti’.
Così, quando il tempo lo consente, anche a me capita di sperimentare il 'gioco' della scrittura e la cosa mi reca, appunto, piacevole 'diletto', quello stesso che spero di recare anche ai miei lettori.
A presto.

Ferdinando G. Rotolo (settembre 2014)

venerdì 28 marzo 2014

Onestà e politica...

Il titolo di questo post sembra oggi quasi un ossimoro: come si fa a mettere insieme onestà e politica? Come si fa a spiegare ai giovani, senza che essi inizino a ridere di gusto, che la politica può anche essere onesta? Come si fa a infondere nei giovani la fiducia nella possibilità che, attraverso l'impegno politico, si possa lottare per migliorare realmente le cose? 
Forse il vero problema è la motivazione che si cela dietro l'impegno politico. Fino agli anni '80 esistevano ancora le ideologie, che avevano la pretesa di spiegare tutti gli aspetti della realtà, anche quella personale dell'individuo; poi, finita la contrapposizione est-ovest, abbiamo felicemente abbandonato la dittatura delle ideologie, ma  poi, in tutti questi anni, l'abbiamo sostituita con il nulla assoluto! Così,  scomparso ormai il concetto di 'bene comune', la politica, completamente svuotata di ideali e di principi, è divenuta niente più che un mestiere, un modo come un altro per far carriera e arricchirsi ad ogni costo, con le conseguenze nefaste che vediamo con i nostri occhi ogni giorno: corruttori e corrotti che proliferano a tutti i livelli della politica, politici incapaci di qualunque seria scelta di politica economica e sociale,  ripetute zuffe furibonde in parlamento su problemi insignificanti, protagonisti improvvisati prestati alla politica direttamente dal mondo dei reality show della TV, candidati che transitano con estrema disinvoltura da un partito all'altro ad ogni elezione, e così via.
Naturalmente, tutto ciò non può che ingenerare sfiducia nei cittadini, come dimostrano le percentuali di affluenza alle urne degli elettori, sempre più basse e sempre più indicative di una nausea diffusa in tutte le classi sociali nei confronti dell'indecente spettacolo offerto dalla politica attuale, lontana anni luce dai problemi veri della gente comune.
Il quadro offerto dalla politica oggi è davvero desolante e alla luce di esso suonano ancor più gravemente ammonitrici le parole di un latino che di politica se ne intendeva bene, Cicerone:

Coloro che sono destinati a tenere le redini dello Stato, tengano bene a mente due precetti di Platone: per prima cosa, curino gli interessi dei cittadini in modo da indirizzare tutte le proprie azioni a loro, dimentichi dell'interesse personale; per seconda cosa, si prendano cura dell'intero organismo statale, in modo da non trascurare le altre parti, mentre ne tutelano qualcuna.
Come infatti la tutela, così la gestione dell Stato deve essere diretta all'utilità delle persone che sono state affidate, non di quelle a cui fu affidata.

Credo si tratti di parole così solenni e ricche di valore etico, che, nel deserto morale di oggi, non necessitano di alcun commento.

Ferdinando G. Rotolo (Marzo 2014)

sabato 15 febbraio 2014

La regola del tricheco


Tempo fa, il governo canadese autorizzò gli Inuit a cacciare un certo numero di trichechi, come esenzione culturale rispetto a una regola generale che imponeva il divieto. Poiché il tricheco era, però, anche sulle liste dei cacciatori più spregiudicati, un giorno gli Inuit proposero al governo di cedere, dietro compenso, il diritto di sparo ai cacciatori non Inuit, tenendo comunque per sé una parte della carne e della pelle degli animali uccisi.
Il governo canadese accettò di buon grado. In fondo, da tutta la faccenda sembravano guadagnarci tutti: gli Inuit ricavavano denaro, i cacciatori ottenevano una preda, al governo canadese poco importava che i trichechi fossero uccisi da tizio o da caio, mentre i trichechi comunque sarebbero stati uccisi dagli uni o dagli altri. Tutto regolare… o forse no.
A parte la stupidità della pratica della caccia ad un esemplare animale che può essere cacciato senza alcun rischio e senza alcun senso della sfida (mica è una tigre o un leone…), un conto è accordare un riconoscimento ‘culturale’ ad una pratica, condivisibile o meno, ma che, comunque, affonda le sue radici nella cultura di un popolo, ben altra cosa è trasformare quella pratica in un affare per far soldi, perché questo svilisce anche il residuo valore ‘culturale’ di quella pratica.
Questo esempio un po’ esotico può servire per chiedersi oggi quale sia il reale valore del denaro, non inteso ovviamente nel senso di strumento di scambio commerciale, ma nel senso di metro unico di paragone su cui misurare ogni cosa: abitudini, credenze, valori.
Nella moderna società di massa si fa fatica ad individuare dei valori condivisi, data l’estrema frammentazione culturale, sociale e morale della società, nella quale ognuno costruisce il suo ‘fortino’ di credenze e opinioni, sempre meno disposto a discuterne con gli altri. Ecco allora che sembra emergere con forza la facile tentazione di ‘esternalizzare’ le questioni morali, affidandole al mercato, nella sciocca illusione che esso sia uno strumento neutro, che distribuisce beni secondo le reali preferenze ed esigenze delle persone.
In realtà, il mercato oggi è diretto dalle potenti elites internazionali del capitalismo e dell’alta finanza che, alla fine della fiera, dettano le agende ai governi e prendono decisioni di politica economica che passano ben al di sopra delle teste degli ignari cittadini (o meglio, consumatori); inoltre, anche le scelte dei consumatori sono spesso eterodirette dalla propaganda dei mass-media, anch’essi strumenti tutt’altro che neutri, capaci d’indirizzare sottobanco i gusti delle persone senza neppure che queste ne siano pienamente consapevoli.
In sostanza, il mercato non è affatto uno strumento neutrale e non può indicarci cosa è giusto e cosa è sbagliato. Se accettassimo questa teoria, allora dovremmo concludere che la compravendita di una casa, di un’auto, di un rene, così come l’affitto di una mansarda o di un utero siano moralmente equivalenti, una volta accettata l’idea che tutto possa ricadere sotto le leggi di mercato. Ma sarà davvero piacevole vivere in una società costruita su simili presupposti, nella quale, naturalmente, chi possiederà più quattrini potrà permettersi tutto, anche al di là dei paletti morali? E sarà davvero democratica una società del genere, nella quale i cittadini, narcotizzati dalla fiducia fideistica nelle capacità miracolose del mercato di dare a ciascuno il suo, perderanno progressivamente l’abitudine alle discussioni libere e aperte sui valori che dovrebbero stare alla base di una comunità?
Credo proprio di no.

Ferdinando Giuseppe Rotolo (febbraio 2014)