domenica 19 ottobre 2014

L'inganno del relativismo culturale.

 Nel mondo globalizzato di oggi, uno dei principi che maggiormente oggi vengono predicati attraverso i media, pare con discreto successo, è quello del cosiddetto ‘relativismo culturale’; secondo tale principio, non esisterebbero valori assoluti, in quanto ogni civiltà, nel corso del suo sviluppo storico, arriva ad elaborare una propria ‘visione’ del mondo, con una propria gerarchia di valori, che ha la stessa validità delle ‘visioni’ elaborate da altre civiltà in altri tempi e luoghi.
Dunque, i modelli culturali elaborati da una civiltà non devono necessariamente essere ‘migliori’ di quelli elaborati da un’altra civiltà, perché ognuna di esse elabora i propri principi, valori, credenze, idee e sulla base di essi si struttura in un determinato contesto storico. Pertanto, bisognerebbe educare alla diversità, all’alterità, perché le differenze tra individui sono prevalenti rispetto ai tratti comuni e non esistono valori universali assoluti che prescindano dalle diverse culture storicamente formatesi.
Ora, tutto questo sembra apparentemente molto democratico e progressista, specie se confrontato con le tendenze assunte in passato della cultura occidentale, che ai tempi del colonialismo anglosassone e ispanico forniva una giustificazione ideologica al bieco imperialismo coloniale attraverso la favoletta della missione di recare la ‘civiltà’ ai ‘selvaggi’ dell’America o dell’Africa. Tuttavia il modello culturale del relativismo, tanto oggi pubblicizzato dai media, in fondo cosi tanto democratico e progressista poi non è.
Se infatti ogni civiltà elabora in proprio una sua cultura, sulla base della quale struttura i suoi valori, che necessariamente sono differenti da quelli di altre culture, non solo sul piano quantitativo, ma anche su quello qualitativo, come potranno queste culture dialogare tra loro?
Se, come affermava Oswald Spengler nella sua famosissima opera Der Untergang des Abendlandes (1923), una umanità con caratteri comuni esiste solo a livello elementare, zoologico, mentre a livello storico essa non esiste, ma cede il passo a gruppi umani qualitativamente distinti in base a fattori esclusivamente culturali, indipendenti e separati tra loro, come organismi autonomi dotati di valori differenti, come potranno mai questi organismi instaurare rapporti positivi tra loro?
In realtà, una volta affermato il principio che non esiste una umanità spirituale universale che si pone al di sopra delle pur innegabili differenze storico-culturali, ideale caro a Kant, filosofo non a caso aspramente contestato da Spengler, ma si sostiene che i valori hanno senso e significato solo all’interno di una determinata civiltà, allora il rischio è che ogni civiltà eriga delle barriere insormontabili rispetto alle altre, determinando una sorta di ‘terra di nessuno’ tra le culture, in cui prevalgono l'incomunicabilità, la diffidenza, se non l’aperta ostilità distruttiva.
Così, ad esempio, dopo la fine della guerra fredda ed il crollo dell'URSS, proprio mentre le etnie locali, per decenni oppresse e annullate sotto la cappa asfissiante del comunismo realizzato, trovavano finalmente lo spazio e l'occasione di affermare dinanzi al resto del mondo la propria identità e la propria cultura, abbiamo assistito al fiorire nell'est europeo di esasperate spinte nazionalistiche, che hanno dato vita a conflitti anche aspri: nella ex-Jugoslavia, nel Caucaso, nelle repubbliche baltiche, nell'Ucraina. Si è così realizzata la profezia della storiografa Marie Helene d'Encausse, che nel 1981 nel suo saggio Decline of an Empire, aveva previsto che l'impero sovietico, a lungo andare, sarebbe stato prima corroso e poi distrutto dai nazionalismi interni.
Ecco allora che oggi si palesa il rischio che il relativismo culturale, nato con l’intento di combattere l’etnocentrismo, finisca, paradossalmente, per dargli cospicuo alimento, giustificando chiusure e conflitti tra i popoli. Come affermava il popperiano Ian Jarvie nel suo Rationalism and relativism (1983), dietro la facciata del relativismo non è difficile intravedere il fantasma del nichilismo e quello di una umanità spezzettata, frantumata in tante unità differenziate e incomunicabili, ognuna delle quali appare intenta a difendere la 'bandierina 'dei propri valori, che, all’interno della singola comunità appaiono assoluti e indiscutibili: da qui al conflitto tra culture e, magari, tra i popoli, purtroppo, il passo è piuttosto breve.

Ferdinando G. Rotolo (ottobre 2014)