Dinanzi al nuovo anno che
ormai è vicino, non è il caso di prodursi in grandi e prolissi discorsi su ciò
che ci attendiamo dal 2016, ossia, più o meno, le medesime cose liete e
positive che ci attendevamo dal 2015 ormai alla fine. Come sempre, ognuno reca dentro
di sé gioie e delusioni vissute durante l’anno che sta per spirare; come sempre, ognuno reca dentro di sé tanti sogni e tante speranze per l’anno che sta per
iniziare; insomma, come sempre, ognuno si augura che l'anno che arriva sia migliore del precedente. Tuttavia, stavolta, senza tornare indietro al 1832 e cedere alla tentazione di cadere nel pessimismo del Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere di leopardiana memoria, preferiamo accogliere il nuovo venuto, anziché con le nostre semplici parole, con i bellissimi versi che il grande Neruda compose, per salutare l’anno nuovo, sperando
che portino davvero buoni frutti e ricordando che bisogna fare lo sforzo di augurare buon anno non solo a chi si adopera per donarci amore, ma anche a chi, più o meno palesemente, sfrutta ogni occasione per offrirci qualche dispiacere.
Il primo giorno dell'anno
lo distinguiamo dagli
altri
come se fosse un cavallino
diverso da tutti i cavalli.
Gli adorniamo la fronte
con un nastro,
gli posiamo sul collo sonagli colorati,
e a mezzanotte
lo andiamo a ricevere
come se fosse un esploratore
che scende da una
stella.
Come il pane, assomiglia
al pane di ieri,
come un anello a tutti gli anelli.
La terra accoglierà questo giorno
dorato, grigio, celeste,
lo dispiegherà in colline,
lo bagnerà con frecce
di trasparente pioggia
e poi lo avvolgerà
nell'ombra.
Eppure,
piccola porta della speranza,
nuovo giorno dell'anno,
sebbene tu sia uguale agli altri
come i pani
a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare, a fiorire,
a sperare.
Ferdinando G. Rotolo (dicembre 2015)