Negli ultimi
tempi, molti commentatori che si occupano di politica, osservando quanto accade
nella società occidentale, lamentano spesso il fatto che gli elettori si siano
fatti contagiare dal sentimento dell’antipolitica. I segnali, in tal senso,
secondo costoro, non mancherebbero: dai rigurgiti nazionalistici (o presunti
tali) in alcuni paesi del centro-europa al successo di movimenti anti-apparato
in Italia o Spagna, dal referendum sulla Brexit fino alla clamorosa
(apparentemente) elezione di zio Donald alla potente White House.
In
realtà, dietro questi fenomeni, agiscono cause profonde differenti (anche se,
in qualche modo legate), che hanno agito sottotraccia negli ultimi decenni e
che ora vengono alla luce in modo più evidente, anche all’occhio di osservatori
rimasti (finora) piuttosto distratti.
Se
guardiamo più da vicino al nostro piccolo orticello italico, non dovremmo meravigliarci
troppo di quanto è accaduto negli ultimi anni. Il successo elettorale di cui
godono i movimenti sulla carta più nazionalisti o identitari non dipendono
certo dal fatto che gli italiani siano improvvisamente divenuti xenofobi, ma
dal semplice fatto che le classi medio-basse (che, dopo aver goduto, fino alla
metà degli anni ’90 di un relativo benessere, hanno pagato sulla loro pelle i pesanti
costi della crisi economica e
della globalizzazione dei mercati) vedono come fumo negli occhi
quell’immigrazione di massa cui il nostro paese è stato colpevolmente esposto a
seguito di errate scelte politiche internazionali, poiché essa ha innestato
guerre tra poveri in una sorta di concorrenza al ribasso sul mercato del
lavoro: perché il datore di lavoro dovrebbe pagare di più, in mansioni a bassa
qualificazione professionale, un lavoratore italiano, quando c’è dietro
l’angolo un immigrato disposto a lavorare ad un terzo della paga? E perché lo
stesso datore di lavoro non dovrebbe sentirsi libero di sbaraccare capannoni e
macchinari collocati nel prospero (un tempo) nord-est e spostare la propria
attività in Moldavia, Armenia o Qualunquistan, dato che lì il costo del lavoro
è 5/6 volte più basso, non esistono leggi antinquinamento e persino il lavoro
minorile è abbastanza tollerato? Chi dovrebbe impedire tutto ciò? In altri
tempi, avremmo detto: ‘la Politica’. Già, ma ora essa dove sta? Buio in sala e
cambio di scena.
Correva l’anno
1992. Poco dopo la fragorosa caduta dei regimi comunisti dell’est, l’Italia
venne scossa dal ciclone della cosiddetta ‘Tangentopoli’, ossia un complesso di
inchieste giudiziarie partite dalla Procura della Repubblica di Milano che
sollevarono il coperchio su un vasto sistema di corruzione che alimentava gli
apparati dei partiti (al governo e all’opposizione) attraverso una capillare
rete di tangenti e mazzette. Inchiesta certamente meritoria e vista con favore
da un’opinione pubblica che riteneva ormai non più tollerabile il perpetuarsi
di quel sistema. Eppure, proprio allora qualcuno, nelle alte sfere, iniziò
astutamente a soffiare sul vento del qualunquismo, raccontando ai cittadini che
i partiti erano essi stessi fonte di sperperi e corruzione e che, dunque, la
democrazia avrebbe funzionato anche meglio senza di essi. Queste si, che erano
idee davvero demagogiche e populistiche, che, però, purtroppo, ebbero facile
presa: tutta un’intera classe politica, composta dai partiti che avevano
scritto la nostra Costituzione, venne spazzata via definitivamente e la
politica (se vogliamo ancora chiamarla così), privata dei partiti organizzati,
nel tempo è diventua terreno di caccia di qualche plutocrate che ha ben potuto
far politica grazie alle sue ricchezze personali o di qualche consorteria
organizzata di potere pronta a utilizzare la politica solo per fare affari.
Così, col
passare del tempo, la politica nostrana (e non solo) è divenuta ancilla
oeconomiae, al punto che oggi i mercati
finanziari influenzano le scelte politiche persino del parlamento, di fatto
divenuto agli occhi degli elettori come una specie di camera notarile chiamata
a sancire decisioni prese altrove, sia che governi il centrodestra, sia che
governi il centrosinistra. In questa situazione, le spinte denunciate dai media
mainstream come ‘populistiche’ appaiono nient’altro che la, magari scomposta,
ma naturale reazione della classe borghese medio-bassa dinanzi al pericolo
della propria proletarizzazione o, addirittura, estinzione. Insomma, è vero,
come dicono i media, che ci sarebbe bisogno di più Politica e Democrazia, ma
questa lamentela, posta in bocca a coloro che hanno fatto da portavoce a chi ha
demagogicamente contribuito a determinare questo pasticcio, risuona viziata da
un po’ di ipocrisia.
"C’è ancora
tempo per tornare indietro, Sherlock?"
"Temo di no, Watson."
Ferdinando G. Rotolo (dicembre 2016)