sabato 28 dicembre 2019

Cosa attendersi nel 2020 dalle IT?

Cosa attendersi dal mondo della tecnologia dell'informazione nel 2020? Come senpre, verso la fine dell'anno gli analisti si cimentano in previsioni, supposizioni, scenari, e così via. Naturalmente, questo tipo di previsioni attira l'interesse degli investitori, che devono decidere in quale direzione indirizzare i loro capitali, ma anche quello del pubblico più vasto degli appassionati, incuriositi dagli sviluppi delle nuove tecnologie.

Un 2019 così così

Il mercato dei PC (desktop e notebook) è leggermente cresciuto nel 2019, ma in misura molto inferiore a quella che gli analisti si attendevano, sia a causa della difficoltà evidenziata dal maggior produttore mondiale di microchip a realizzare un numero di microprocessori sufficiente a soddisfare la richiesta dei produttori, sia a causa della tendenza, da parte degli utenti, ad allungare il ciclo di vita dei propri dispositivi, in assenza di veri fattori di innovazione dal lato hardware: oggi un PC portatile o uno smartphone fanno, più o meno, le stesse cose che facevano 5 anni fa, dunque perché spendere altri soldi per acquistarne uno nuovo e più costoso? Chissà, forse oggi l'utente non è poi così sprovveduto come comunemente si pensa.

E il 2020?

Probabilmente nel 2020 i produttori punteranno molto sugli utenti appassionati di videogiochi, che chiedono PC piuttosto ben carrozzati, per farvi girare i videogames di ultima generazione, solitamente alquanto avidi di risorse di sistema e di memoria. Tuttavia, si tratta di una nicchia di mercato, per quanto lucrosa. In verità, da utenti, vorremmo vedere anche qualcos'altro. Ad esempio, vorremmo assistere ad una diffusione rapida delle reti 5G, anche in zone dove la connettività di rete fa fatica a tenere il passo con i tempi. Infatti, oggi è fondamentale disporre di tecnologie di rete veloci ed affidabili e, soprattutto, accessibili a tutti: se vi saranno zone toccate marginalmente o non toccate affatto da questa tecnologia, lo sviluppo per le imprese in quelle zone resterà solo l'ennesimo capitolo del libro delle promesse non mantenute. Vorremmo anche vedere in vendita nei negozi degli smartphone, ormai divenuti potenti quasi come i PC, che non si assomigliassero tutti tra loro e che fossero più semplici da usare, anche per chi non è più giovanissimo. Riuscirà qualche produttore ad avere il coraggio di inventare e proporre qualche form factor innovativo, anche a costo di assumersi qualche rischio? Inoltre, vorremmo che produttori di PC offrissero al pubblico soluzioni sempre più 'portabili' e 'mobili'; oggi l'utente lavora sempre più in mobilità e dunque ha bisogno di ultrabook sempre più maneggevoli e potenti, ma che non costino un patrimonio, laddove invece pggi i produttori tendono a considerarli prodotti premium e a corredarli di listini altrettanto premium. Anche qui, avrà qualche produttore il coraggio di tentare strade innovative sul versante hardware, magari portando anche nei chip degli ultrabook la potenza e i bassi consumi già presenti nei chip degli smartphone? O meglio ancora, addirittura portando negli ultrabook gli stessi chip degli smartphone?
Forse, dalle parti di Cupertino, qualcuno ci sta già lavorando in gran segreto. Chi vivrà, vedrà... buon anno!
Ferdinando G. Rotolo

lunedì 4 novembre 2019

Quel marzo del 1998...

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Oggi, per i giovani utenti della rete, è normale utilizzare uno strumento digitale come un PC o un tablet o uno smartphone, per commettersi con il mondo intero. E nel fare questo, essi trovano assolutamente normale poter scegliere quale tipo di browser utilizzare: Firefox, Safari, Chrome, Opera, Edge, e così via. Eppure, non è sempre andata cosi.

La rete diventa... la Rete

Verso a metà degli anni '90 si assistette all'esplosione di Internet come strumento di comunicazione e persino come strumento commerciale grazie all'implementazione del world wide web; la possibilità di garantire la perfetta comunicazione tra i computer più diversi sparsi per il pianeta, aprì orizzonti assolutamente nuovi all'economia, all'informazione, all'editoria, all'industria. Naturalmente, per poter 'navigare' efficemente nella Rete era necessario avere il software adatto. In questo senso, nella seconda metà degli anni '90 erano due i programmi che si contendevano il mercato: lo storico Netscape Navigator, sviluppato dalla omonima società di Mountain View, e Internet Explorer, sviluppato dal colosso Microsoft.

La guerra dei browser

Navigator era stato per anni il browser di riferimento per il mercato, commercializzato a pagamento, e si era progressivamente arrichito di varie funzioni sempre più sofisticate; dall'altro lato Explorer aveva conosciuto una crescita continua dal momento in cui il gigante di Redmond, con una mossa astuta, aveva deciso di distribuirlo gratis integrandolo nel sistema operativo Windows 95. La grande diffusione di questo OS aveva fatto il resto, al punto che la quota di mercato di Navigator si era progressivamente ridotta. Infatti, perché mai gli utenti Windows avrebbero dovuto acquistare ed installare un browser diverso, quando ne avevano uno già installato e pronto all'uso sul loro sistema? Fu così che allora, dinanzi alle gravi perdite registrate nel 1997, Netscape (che era una società quotata in borsa) decise di distribuire nella primavera del 1998 Navigator in forma gratuita, in modo da poter competere con il rivale. Una mossa in qualche modo obbligata, che non colse affato di sorpresa il buon Bill Gates. Ma la mossa assolutamente inattesa e, in un certo senso, per quei tempi, rivoluzionaria, fu un'altra, ossia quella di distribuire liberamente il codice sorgente del programma a tutta la comunità degli sviluppatori.

La svolta

Per la prima volta, una società commerciale quotata in borsa (dunque non un'Università o un centro di ricerca), distribuivano il codice sorgente di un software importantissimo, rendendolo disponibile a tutta la comunità degli sviluppatori, affinchè fosse migliorato e sviluppato in nuove versioni. Molti commentatori, allora, giudicarono quella di Netscape una scelta dettata dalla disperazione, e, in parte, ciò era vero, specie se si considera che la 4.08 fu l'ultima versione del browser a vedere la luce come prodotto indipendente dal pacchetto Communicator, prima della resa definitva al monopolio di Microsoft nel 2002, anno in cui fu distribuita l'ultima versione del Communicator

Una nuova fenice...

Tuttavia, quella scelta coraggiosa e folle aprì una nuova era nella storia dell'informatica, in quanto mise gli utenti dinanzi alla possibilità di studiare un software dall'interno e di poterlo modificare liberamente: da lì sarebbero partiti gli studi e le ricerche che avrebbero poi, dopo qualche anno, condotto ad una nuova generazione di browser più moderni e, soprattutto, il cui motore di rendering HTML sarebbe stato open source. Quindi, a distanza di tempo, possiamo dire che quella scelta del marzo 1998, se da un lato fu il segnale annunciatore della sostanziale sconfitta di Netscape, dall'altro fu anche una scelta strategica che, incentivando la nascita di browser alternativi, nel corso degli anni, avrebbe nel lungo periodo corroso il predominio di Explorer stesso, che, sempre distribuito con licenza proprietaria chiusa, sarebbe passato da una quota del 70% del mercato nel 2009 ad una quota inferiore al 5% nel 2019. Insomma, Navigator moriva, ma dalle sue ceneri sarebbe rinato sotto altre forme

Morale?

E per noi utenti di oggi, quale messaggio può venire da questa vicenda, grazie alla quale il software ritornava quale era stato sue origini e fino a tutti gli anni '70, prima che nascesse il concetto di software proprietario? Forse che, in fondo, la condivisione e la libera circolazione della conoscenza, libera da barriere artificiose, rappresenta un potente motore di sviluppo e di progresso per tutta la comunità. Ne riparleremo.

Ferdinando G. Rotolo