domenica 15 marzo 2020

Riappropiarci di noi.

In queste giornate di riposo forzato dentro casa possiamo trovare l'occasione di fare qualche riflessione su ciò che ci sta accadendo e su quello che sentiamo. Questa emergenza che stiamo vivendo ci pone dinanzi a questioni molto importanti per il nostro futuro e sulle quali avremmo il dovere di interrogarci, senza retorica, ma anche senza finzioni. Innanzitutto, in situazioni critiche come questa, emerge l'azione di persone anonime, che hanno una vita normale, che magari vivono in città o in piccoli centri, ma che, divenuti improvvisamente protagonisit di un dramma più grande di loro, non si sono arresi, ma hanno dato fondo a tutte le risorse che avevano, umane, psicologiche, professionali, materiali per alleviare la sofferenza di chi, giovane o anziano, italiano o straniero, ha avuto la sfortuna di essere colpito dal maledetto virus: medici, infermieri, volontari. Per loro, evidentemente, ogni vita ha lo avuto lo stesso valore e la parola 'solidarietà' non è stata solo un bel vocabolo del dizionario. 
In secondo luogo, a noi chiusi in casa per ripararci dal virus si offre l'occasione per riappropriarci del tempo, di quel tempo che, nelle nostre frenetiche giornate 'normali', scorreva veloce e senza tregua; ecco, forse, a seguito di questo stop forzato, possiamo riscoprirne il prezioso valore e farlo davvero nostro, riempendolo con le scelte che preferiamo: leggere un buon libro (magari un buon testo classico o un manuale su qualsiasi argomento), ascoltare musica (vera e non ciarpame), guardare in TV qualche DVD contenente qualche bel film, scrivere qualcosa, mettere in ordine la casa, sentire al telefono i nostri cari lontani, persino guardare dalla finestra l'orizzonte e ammirarne la bellezza, cui ormai non facciamo più caso, presi come siamo da mille preoccupazioni, spesso indotte artificiosamente dall'esterno.
E, infine, questa situazione drammatica e imprevedibile ci fa riscoprire l'importanza di sentirci comunità, ossia un gruppo di persone legate tra loro da vincoli culturali, storici, affettivi e morali; un gruppo in cui il singolo non è, egoisticamente, misura di tutte le cose, ma in cui il comportamento di uno influisce sulla vita di tutti; in cui nessuno è un'isola solitaria, ma tutti siamo legati dalla comune appartenenza al genere umano, e, più in generale, a quella fratellanza universale che il poeta latino Terenzio definiva humanitas. Infatti, nonostante le favolette narrate in questi decenni dai cantori 'a comando' delle magnifiche sorti e progressive del neoliberismo globalizzato, che in questi anni, con la scusa della competizione permanente tra ogni uomo, ha deturpato la vita degli individui e la stessa natura, esiste ancora un legame profondo tra tutti gli individui, che li porta, in simili circostanze, a sentirsi fratelli, a riscoprire la comune humanitas che li lega, al di là delle differenze culturali, sociali o religiose. 
L'uomo non è necessariamente egoista e individualista; se spesso si comporta in modo tale, è perché il Sistema sociale lo educa, sin da giovanissimo, ad agire così, ossia nel modo che, guardacaso, è il più confacente alla perpetuazione del Sistema stesso. E, soprattutto, egli non è misura di tutte le cose, perché, piaccia o no, non è un dio. 
Se ci ricorderemo di tutto ciò, quando questa tempesta sarà passata, forse persino dal dolore arrecato da un flagello come Covid-19, potrà derivare qualche cosa di non negativo. 

Ferdinando Giuseppe Rotolo