martedì 14 aprile 2020

Copiare non è reato.

Chissà quante volte, a ciascuno di noi, mentre scriviamo un testo al computer, sarà capitato di usare le funzioni 'taglia, copia, incolla' per comporre un testo.... un'operazione talmente comune, da semrbare banale. Ebbene, nel mese di febbraio ci ha lasciato proprio l'uomo che fu l'inventore pioneristico di questa funzione, ossia il brillante newyorkese Larry Gordon Tesler.
Parlare di Tesler significa fare un tuffo in un passato dell'informatica piuttosto lontano, fatto da appassionati visionari che cercavano di costruire le fondamenta del futuro del mondo digitale, anche se il mondo digitale in cui essi hanno vissuto era profondamente diverso dal nostro.
Era il mondo di gente come Brian Kerningham e Dennis Ritchie, i creatori, tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70, del linguaggio di programmazione C; di Ken Thompson, che insieme allo stesso Ritchie creò, nello stesso periodo, il potente sistema operativo Unix all'interno dei laboratori Bell; di Douglas Enghebart, che mentre lavorava a Stanford, inventò il primo mouse nel 1967, che rivoluzionò l'interazione uomo - computer; era, anche il mondo di Larry Tesler, che, mentre lavorava nello storico PARC, ossia il centro ricerche Xerox di Palo Alto, inventò nel 1975 un word processor da usare su un costoso computer che si chiamava Alto. Tale word processor, di nome Gipsy, sfruttando l'interfaccia grafica pioneristica di Alto, forniva appunto la funzione di cui dicevamo, ossia di tagliare, copiare e incollare porzioni di testo, nonché anche funzioni di ricerca e sostituzione di parole. Occorre ricordare che, allora, i computer avevano un'interfaccia testuale e che, per modificare il testo, era necessario passare dalla modalità 'lettura' alla modalità 'inserimento', senza comunque poter modificare porzioni di testo, ma essendo costretti a riscrivere tutto dall'inizio. Tesler odiava le finestre 'modali', al punto che, sulla porta del suo ufficio aveva fatto mettere una targa con scritto 'no-modes'. Era un uomo schivo, ma dall'intelligenza creativa fuori dal comune, in un periodo epico della storia dell'informatica, in cui gli scambi di idee tra gli appassionati e lo spirito di emulazione crearono il contesto adeguato per gli sviluppi successivi. Tuttavia la Xerox, che considerava quello delle fotocopiatrici il suo core business, non fu in grado di sfruttare quelle invenzioni sul piano commerciale: se lo avesse fatto, probabilmente noi avremmo assistito ad una diversa storia dell'informatica.
Un giorno, nel 1979, un giovane manager visionario alla guida di una start-up creata tre anni prima (e in cui la Xerox aveva investito), avrebbe visitato il PARC e visto all'opera le invenzioni pioneristiche al suo interno, traendone ispirazione per i prodotti rivoluzionari del futuro: quel giovane si chiamava Steve Jobs e la start-up si chiamava Apple.
Insomma, volgendo lo sguardo a quell'epoca, dobbiamo essere riconoscenti da un lato, al gruppo di pionieri citati che, nel microcosmo magico della Silicon Valley, lavorarono a invenzioni rivoluzionarie che segnarono il progresso della scienza e della tecnica, dall'altro ad altre persone (gli Steve Jobs, i Bill Gates, e altri ancora) che lavorarono perché quelle invenzioni non restassero confinate nei centri di ricerca universitari, ma si traducessero poi in prodotti di uso quotidiano e accessibili a tutti. Un'epoca davvero pionieristica, in cui, come nell'antica Atene o nella Toscana del Rinascimento, era ritenuto normale che ognuno copiasse e migliorasse le idee degli altri in un circuito virtuoso di conoscenza.
E così, a proposito di copia, siamo ritornati all'invenzione principale di Tesler, cui va un grazie sentito dai milioni di utenti che ogni giorno nel mondo usano un word processor.
Addio Larry! Ti salutiamo come ti sarebbe piaciuto:
ctrl-c        ctrl-v (windows)
cmd-c        cmd-v  (mac)

Ferdinando G. Rotolo

domenica 15 marzo 2020

Riappropiarci di noi.

In queste giornate di riposo forzato dentro casa possiamo trovare l'occasione di fare qualche riflessione su ciò che ci sta accadendo e su quello che sentiamo. Questa emergenza che stiamo vivendo ci pone dinanzi a questioni molto importanti per il nostro futuro e sulle quali avremmo il dovere di interrogarci, senza retorica, ma anche senza finzioni. Innanzitutto, in situazioni critiche come questa, emerge l'azione di persone anonime, che hanno una vita normale, che magari vivono in città o in piccoli centri, ma che, divenuti improvvisamente protagonisit di un dramma più grande di loro, non si sono arresi, ma hanno dato fondo a tutte le risorse che avevano, umane, psicologiche, professionali, materiali per alleviare la sofferenza di chi, giovane o anziano, italiano o straniero, ha avuto la sfortuna di essere colpito dal maledetto virus: medici, infermieri, volontari. Per loro, evidentemente, ogni vita ha lo avuto lo stesso valore e la parola 'solidarietà' non è stata solo un bel vocabolo del dizionario. 
In secondo luogo, a noi chiusi in casa per ripararci dal virus si offre l'occasione per riappropriarci del tempo, di quel tempo che, nelle nostre frenetiche giornate 'normali', scorreva veloce e senza tregua; ecco, forse, a seguito di questo stop forzato, possiamo riscoprirne il prezioso valore e farlo davvero nostro, riempendolo con le scelte che preferiamo: leggere un buon libro (magari un buon testo classico o un manuale su qualsiasi argomento), ascoltare musica (vera e non ciarpame), guardare in TV qualche DVD contenente qualche bel film, scrivere qualcosa, mettere in ordine la casa, sentire al telefono i nostri cari lontani, persino guardare dalla finestra l'orizzonte e ammirarne la bellezza, cui ormai non facciamo più caso, presi come siamo da mille preoccupazioni, spesso indotte artificiosamente dall'esterno.
E, infine, questa situazione drammatica e imprevedibile ci fa riscoprire l'importanza di sentirci comunità, ossia un gruppo di persone legate tra loro da vincoli culturali, storici, affettivi e morali; un gruppo in cui il singolo non è, egoisticamente, misura di tutte le cose, ma in cui il comportamento di uno influisce sulla vita di tutti; in cui nessuno è un'isola solitaria, ma tutti siamo legati dalla comune appartenenza al genere umano, e, più in generale, a quella fratellanza universale che il poeta latino Terenzio definiva humanitas. Infatti, nonostante le favolette narrate in questi decenni dai cantori 'a comando' delle magnifiche sorti e progressive del neoliberismo globalizzato, che in questi anni, con la scusa della competizione permanente tra ogni uomo, ha deturpato la vita degli individui e la stessa natura, esiste ancora un legame profondo tra tutti gli individui, che li porta, in simili circostanze, a sentirsi fratelli, a riscoprire la comune humanitas che li lega, al di là delle differenze culturali, sociali o religiose. 
L'uomo non è necessariamente egoista e individualista; se spesso si comporta in modo tale, è perché il Sistema sociale lo educa, sin da giovanissimo, ad agire così, ossia nel modo che, guardacaso, è il più confacente alla perpetuazione del Sistema stesso. E, soprattutto, egli non è misura di tutte le cose, perché, piaccia o no, non è un dio. 
Se ci ricorderemo di tutto ciò, quando questa tempesta sarà passata, forse persino dal dolore arrecato da un flagello come Covid-19, potrà derivare qualche cosa di non negativo. 

Ferdinando Giuseppe Rotolo