mercoledì 24 novembre 2010

Semiotica dei calendari 'illustrati'

    Puntuali come le scadenze fiscali, ecco arrivare a fine anno nelle nostre edicole pletore di calendari per l'anno che verrà; ma non si tratta dei calendari 'vecchio stile' di una volta (ad es. 'Frate Indovino'), almanacchi nei quali erano distillate gemme di saggezza popolare da utilizzare per tutto l'anno seguente, bensì di calendari moderni, nei quali lo scorrere dei mesi serve solo da pretesto per mostrare le disinvolte nudità di modelle o attrici famose, da centellinare con attenzione per ogni mese dell'anno.
    A parte l'ironia, il fenomeno è in espansione talmente vistosa, che vale la pena soffermarsi un attimo su di esso e tentare di ragionarci sopra in modo serio. Innanzitutto, è evidente che, se l'industria editoriale investe così tanto in un prodotto simile, ciò significa che vi è una nutrita richiesta del mercato. Le protagoniste di questi calendari richiedono sovente fior di quattrini agli editori per essere disposte a farsi immortalare 'senza veli' e, ovviamente, nessun editore, in tempi difficili dal punto di vista economico, affronterebbe spese di una certa rilevanza, se non fosse sicuro di ricavarne dei vantaggi, in termini di popolarità o di vendite. Ma quali riflessioni 'culturali' possono essere a noi suggerite da tale fenomeno? Secondo il semiologo R. Scholes anche il corpo può essere considerato come un 'testo' e dunque sottoposto a 'letture' di tipo culturale (e quindi sociale); in particolare, il corpo femminile nella letteratura di ogni tempo è stato oggetto di rappresentazioni che risentivano di fattori e condizionamenti di tipo socioculturale, dato che la donna nella letteratura è stata sempre materia di attenzione peculiare, e vista, secondo le epoche, ora come essere angelico, ora come essere perverso; così, la candida e ritrosa Laura di Petrarca è differente, ad esempio, dalla disinibita Lady Chatterley di Lawrence.
    Nulla di strano, dunque se anche il corpo (specie quello femminile) sia stato veicolo per la trasmissione di messaggi. Secondo la teoria linguistica di R. Jakobson, perché avvenga una comunicazione, sono necessari alcuni elementi: un emittente (colui che invia il messaggio), un ricevente (colui che lo riceve), un canale (il mezzo di trasmissione), un messaggio (il contenuto della comunicazione), un codice (il sistema di segni attraverso cui il messaggio si trasmette), un referente (l'oggetto reale a cui il messaggio fa riferimento); se manca uno di essi, la comunicazione non è possibile. Ora, nell'arte del passato il corpo veniva rappresentato come veicolo di un messaggio più complesso. Nella scultura greca il corpo umano nudo veniva idealizzato in forme perfette, simbolo della ricerca di una bellezza fuori dal tempo (e quindi immortale) a cui l'uomo greco aspirava: gli abiti, che rappresentavano il contingente, la storia (e quindi il transitorio) venivano eliminati, proprio perché immersi in un tempo concreto e reale, in cui la bellezza è destinata a perire, prima o poi. Nelle sculture di Prassitele o di Fidia il corpo umano costituiva il veicolo di un messaggio che, attraverso il codice della scultura, richiamava come referente l'idea della bellezza assoluta e dell'immortalità.
    Anche nella fotografia, in passato, il corpo è stato veicolo di messaggi complessi. Qualcuno ricorderà come negli anni '70 avvessero suscitato clamore le foto in b/n in cui la cantante 'ribelle' Patti Smith si faceva ritrarre nuda in uno scenario di interni alquanto grigio e uggioso. In quel caso, in pieno clima di emancipazione femminile, il corpo nudo della Smith rappresentava un segno che veicolava un messaggio anticonformista di liberazione dai costumi tradizionali, ed aveva come referente le lotte per l'emancipazione femminile, grazie alle quali le donne intendevano divenire libere artefici della propria sessualità, per secoli costruita a misura di un mondo dominato dal maschio. Così, quelle foto costituivano l'equivalente iconico di un fenomeno sociale che, negli stessi anni e per altre vie, la scrittrice americana Susan Sontag descriveva brillantemente nei suoi saggi di costume. Anche in quel caso, dunque, il corpo era mezzo per trasmettere un messaggio culturale (condivisibile o meno) carico di riflessi sociali.
    Ebbene, nei moderni calendari che abbondano nelle nostre odierne edicole non vi è nulla di tutto ciò. Vi sono alcuni elementi della comunicazione: l'emittente (l'editore), un ricevente (il lettore), il canale (le stampe fotografiche), il codice (le immagini); tuttavia manca un vero referente esterno e manca un messaggio. I corpi nudi ritratti nei calendari non veicolano proprio nulla, ma sono autoreferenziali, fanno riferimento a sé stessi ed esauriscono in se stessi il loro scopo. Le modelle 'offrono' sul mercato un loro 'sé' corporeo virtuale e i lettori comprano quel 'sé': tutto qui. Abbiamo a che fare con prodotti commerciali esattamente paragonabili ad un CD, ad una saponetta, ad una merendina, con la differenza che, in questo caso, le conseguenze sociali sono più rilevanti. Il lettore X che compra il calendario di un'attrice celebre si illude di portare a casa anche il corpo di quell'attrice, osservandola in un modo che, nella vita reale, non gli sarebbe mai possibile: magari potrà sognare di essere il suo fidanzato bello e invidiato e di possederla anche fisicamente. Come nella logica del carnevale plautino i servi possono anche diventare per un giorno padroni e guidare un mondo alla rovescia, così il signor X può sognare per un attimo di essere il boy friend di una donna ricca, bella e famosa; sennonché, finito il carnevale, tutto ritorna sempre come prima: i principi ritornano principi ed i servi ritornano servi; e il signor X, prima o poi, ritorna alle sue frustrazioni quotidiane: la moglie chiacchierona, le tasse, il condominio, il capufficio tiranno, e così via. E allora appare fondato il sospetto che dietro tutta l'operazione editoriale ci sia una sottile mistificazione.
    Qualcuno potrebbe obiettare che, comunque, questi calendari hanno un significato 'di costume', in quanto rappresenterebbero una forma di trasgressione rispetto ai costumi tradizionali: forse, ma si tratta di una trasgressione finta. Come sottolinea il celebre personaggio di Jorge nel terzultimo capitolo del romanzo Il nome della rosa, il Potere non ha mai temuto le trasgressioni che coinvolgono gli istinti elementari delle masse, anzi le ha incoraggiate, perché ha visto astutamente in esse una valvola di sfogo utile a tenere buoni i 'semplici', condannati alla sconfitta sul teatro della storia dalla loro stessa ignoranza; mentre esso ha sempre combattuto le trasgressioni che stuzzicano l'intelletto, perché spingono a pensare e possono rendere le masse consapevoli di cose di cui il Potere preferirebbe non sapessero nulla. Così, nell'antica Atene l'etera Frine fu assolta dall'accusa di empietà, mentre il buon Socrate fu condannato per la stessa colpa: ma la bella donna, che ostentava la sua bellezza senza troppi pudori (pare sia stata anche modella per la Venere di Cnido di Prassitele), e per la cui difesa si scomodò un oratore illustre come Iperìde, dava meno fastidio al Potere del famoso filosofo, che poneva domande scomode ai giovani su politica ed etica.
    La realtà è che la trasgressione, quella vera, quella capace di mettere in discussione le verità preconfezionate, può scaturire solo dalle scintille dell'intelligenza e della cultura: le si può trovare in un buon libro, in una commedia brillante o in un film d'autore; ben difficilmente nelle pagine patinate di questi calendari, che (è il caso di dirlo) non hanno nulla 'da nascondere', ma neanche nulla da dire.

Ferdinando G. Rotolo (novembre 2010)

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