La narrativa pirandelliana
rappresenta certamente uno dei vertici più alti della letteratura italiana; in
particolare, la raccolta delle Novelle per un anno, costituisce un inesauribile
scrigno di risorse per tutti coloro che amano la buona lettura e vogliono
godersi un italiano letterario fluente e ben ordinato, ben lontano dalle
scritture d’avanguardia che pullularono nel dopoguerra.
Alcune delle novelle contenute
nella raccolta, come La carriola, La
patente, Tutto per bene, sono notissime al grande pubblico; tuttavia,
stavolta vorremmo soffermarci su una novella meno nota, eppure a suo modo significativa, Il
vecchio Dio.
In questa novella il protagonista
è un uomo anziano che in estate passa il proprio tempo visitando le chiese di
Roma. L’autore si preoccupa di sottolineare la semplicità della religiosità del
protagonista, il signor Aurelio, grazie alla quale aveva potuto sopportare le
tempeste e le delusioni della vita, sicuro che il buon Dio lo custodisse e alla
fine lo avrebbe premiato per la sua purezza del cuore.
Ecco dunque che un giorno il sig.
Aurelio si reca a visitare una chiesa e dopo aver esaminato le opere d’arte in
essa contenute, si assopisce e prende sonno; a quel punto, gli appare in sogno
Dio stesso, che quasi si confida con lui e si lamenta! Il buon Dio, nelle
sembianze di un malinconico vecchietto barbuto, gli dice che gli uomini hanno
smarrito la semplicità di un tempo, perché ora la scienza pretende di dare una
spiegazione a tutto e dunque l’uomo di oggi, tecnologicamente avanzato e
privato delle sue paure ancestrali, ha capito, finalmente, di non aver più
bisogno di Dio:
Mali
tempi, figlio mio! Vedi come mi son ridotto? Sto qui a guardia delle panche. Di
tanto in tanto, qualche forestiere. Ma non entra mica per Me, sai! Viene a
visitar gli affreschi antichi e i monumenti; monterebbe anche su gli altari per
veder meglio le immagini dipinte in qualche pala! Mali tempi, figlio mio. Hai
sentito? hai letto i libri nuovi? Io, Padre Eterno, non ho fatto nulla: tutto
s'è fatto da sé, naturalmente, a poco a poco. Non ho creato Io prima la luce,
poi il cielo, poi la terra e tutto il resto, come ti avevano insegnato ne' tuoi
gracili anni. Che! che! Non c'entro piú per nulla Io.
Le
nebulose, capisci? la materia cosmica... E tutto s'è fatto da sé. Ti faccio ridere:
uno c'è stato finanche, un certo scienziato, il quale ha avuto il coraggio di
proclamare che, avendo studiato in tutti i sensi il cielo, non vi aveva trovato
neppur una minima traccia dell'esistenza mia. Di' un po': te lo immagini questo
pover'uomo che, armato del suo canocchiale, s'affannava sul serio a darmi la
caccia per i cieli, quando non mi sentiva dentro il suo misero coricino? Ne
riderei di cuore, tanto tanto, figliuolo mio, se non vedessi gli uomini far
buon viso a siffatte scempiaggini. Ricordo bene quand'Io li tenevo tutti in un
sacro terrore, parlando loro con la voce dei venti, dei tuoni e dei terremoti.
Ora hanno inventato il parafulmine, capisci? E non mi temono piú; si sono
spiegati il fenomeno del vento, della pioggia e ogni altro fenomeno, e non si
rivolgono piú a Me per ottenere in grazia qualche cosa.
Insomma, gli
uomini, ubriacati dal progresso scientifico e tecnologico, in un delirio di
onnipotenza, hanno liquidato il problema di Dio come un non-problema e hanno
perso ogni timore reverenziale verso la Divinità, al punto che Dio decide di
abbandonare la città e di ritirarsi in campagna, dove ancora sopravvivono le
tradizioni e dove la gente è meno smaliziata.
Quali
riflessioni suscita in noi questa novella? Certo qui Pirandello, da buon
esponente del Decadentismo, prende di mira la scienza; non, ovviamente, quella
scienza che vuole limitarsi a risolvere i problemi pratici dell’uomo, ma quella
che pretende di dare una spiegazione scientifica di tutto, anche di quegli
aspetti della vita che riguardano la morale, la filosofia o la religione. Del
resto, leggendo la novella, viene il sospetto che, in fondo, anche gli
scienziati che affermano di essere rigorosamente atei, in realtà, nell’interno
dei loro laboratori non aspirino che a prendere il posto di Dio, a sentirsi
essi stessi Dio, per
appagare non tanto la sete di conoscenze, quanto il loro narcisismo smisurato,
che, infatti, è stato spesso astutamente sfruttato dai detentori del Potere per
spronare gli scienziati a lavorare in funzione delle esigenze della politica.
Ad esempio,
mi sono sempre chiesto per quale disinteressato e nobile amore per la
conoscenza tanti illustri fisici di varie nazioni, compreso il nostro E. Fermi,
abbiano lavorato al Progetto Manhattan, che consentì agli Stati Uniti di allestire la prima bomba
atomica…
Contro questa
sciocca degenerazione della scienza in scientismo Pirandello lancia la sua
umoristica satira (ancora oggi attualissima, se consideriamo gli arditi
esperimenti che in nome del ‘progresso’ vengono compiuti oggi con estrema
disinvoltura dagli scienziati sulle cellule e persino sui geni dell’uomo), e
invita l’uomo moderno ad evitare atteggiamenti ridicoli, come quelli
dell’astronomo che, non avendo visto Dio col cannocchiale, afferma con certezza
la sua inesistenza: ma, se noi non riusciamo a vedere Dio con il nostro cuore,
potremo mai vederlo col cannocchiale?
E dire che
Pirandello è stato spesso sbrigativamente catalogato come intellettuale ateo da
certa critica…
Ferdinando Giuseppe Rotolo (maggio 2013)
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